“Charlie Hebdo”: se ad uccidere è l’indifferenza

Raccontare il male non è fare il male. […] Ed è proprio perché conosco il bene della mia terra che ho trovato necessario indagare l’ombra, indagare il male che non è solo di Napoli, ma del potere e del capitalismo feroce.” Così Roberto Saviano commenta su facebook la messa in onda in Rai della fiction dedicata a “Gomorra”. Frase, quest’ultima, che potrebbe essere ben applicata al cincischiante brusio italiano sul caso “Charlie Hedbo”. Inutile ripeterlo: l’Italia è da ormai 30 anni un paese notoriamente ipocrita, aculturale e voltagabbana. A dimostrarlo è sopratutto l’atteggiamento che ha adottato riguardo la drammatica strage di Parigi. Da un lato abbiamo gli indefessi e strenui difensori della satira, gli stessi che poco sanno, nulla conoscono, per nulla si interessano della qualità di informazione in Italia. Non sarebbe affatto paradossale se si scoprisse che, proprio coloro i quali hanno da poco indossato la casacca dei “fondamentalisti democratici”, non hanno preso posizione (o peggio ancora) non hanno mai udito parlare di “editto bulgaro”. Bene ha fatto Marco Travaglio che, nell’ultima puntata di Servizio Pubblico, ha passato in rassegna tutte le discutibili e deprecabili volte in cui l’Italia ha palesemente calpestato il diritto all’informazione. (video qui sotto)
Dall’altra sponda vi sono poi i finti neutrali che seguono il grossolano paradigma del “non si giustificano gli omicidi, ma la Francia se l’è cercata”. Capofila di questa nobile scuola di pensiero è, guarda caso, l’illustre senatore Razzi che con la sua nota verve crozziana ha lanciato il monito del momento: “La satira dovrebbe abbassare le orecchie, quello che è successo in Francia un pochino se la sono cercata”. Considerato il livello del promotore del pensiero, non è difficile passare ai raggi X chi ne segue l’esempio. Anche solo in maniera involontaria.
La miriade oceanica di post e dei blog pubblicati in merito non è passata inosservata agli occhi di quella solipsistica ma ferrea parte della comunità italiana che è dedita alla salvaguardia della cultura e dei principiali diritti dell’uomo, quali la libertà di espressione. Tale fenomeno non ha tardato a generare in loro un certo imbarazzo morale e culturale contribuendo a far sprofondare in un oblio ancora più oscuro ogni loro piccolo sforzo di riconoscimento culturale collettivo. A sbagliare, difatti, non sono soltanto le nostre corrotte istituzioni, ma il popolo stesso già ammorbato da una dieta mediatica e pseudo letteraria che attanaglia giovani menti e non. Ciò fa presupporre che il declino intellettuale, e di rimando quello morale, non si arresta ma anzi fonda le proprie radici nei più delicati e capillari luoghi di formazione: le scuole, le parrocchie, le famiglie. L’effetto drammatico che genera tutto ciò non può che ripercuotersi sulle nuove generazioni che dai loro presunti e sedicenti maestri ne apprendono l’aridità degli insegnamenti che fanno della sterile polemica il loro principale effetto. Tutto viene poi irrimediabilmente confluito nell’indifferenza, il gretto atteggiamento di chi non vuol comunque prendere a cuore quanto accaduto. Ogni volta che tale indifferenza diventa manifesto sociale e culturale, le vittime del terrorismo di questi giorni vengono assassinate nuovamente. Ancora e ancora. Per questi motivi, il nostro compito è quello di indignarci e di “scandalizzare” (nell’accezione pasoliniana del termine) chi ci circonda, facendo leva sui valori immutabili e sacri quali la libertà di pensiero, giacché uno dei morbi principali del nostro Paese è la mancanza di cultura e di veri intellettuali che dirigano il vascello del pensiero costruens ed umanistico verso fertili e sicure sponde.

Marco Marangio

giornalista pubblicista, dottore in Lettere Moderne, amministratore del blog Prima Pagina, autore di "Percorsi" (Albatros Il Filo, 2010) e di "Matteo Renzi - La parola sono io (Effigi editore, 2018)

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