Dal “referenzum” al Renxit: bello, ciao!

Saluteremo il signor padrone. Se si volesse riassumere l’effetto del referendum costituzionale appena passato, si potrebbe fare ricordando il famoso canto degli operai sfruttati nelle fabbriche e nei campi. Strano ma vero, nel famoso “referenzum” il nemico dell’ormai ex premier non sono stati soltanto i partiti politici di opposizione e la minoranza interna del PD, ma il popolo italiano.
Benché italioti e militonti abbiano profuso più di qualche semplice forza (intellettuale?), gli italiani (ossia gli abitanti dell’Italia reale) hanno dimostrato con forza che altro non desiderano che un vero cambiamento, serio e strutturale. Sia chiaro: nessuno ha mai creduto che la riforma costituzionale, così scritta, fosse prioritaria e necessaria per l’Italia. In un paese in cui il lavoro, al secolo Jobs Act, viene concretizzato con vaucher acquistati in un comunissimo tabacchino, è chiaro che le problematiche sono ben più grandi e ben più immediate da risolvere. Altro dato che non può certamente passare inosservato, è l’affetto e l’importanza che il popolo italiano attribuisce nei riguardi della Costituzione. Essi hanno, pertanto, compreso la (schi)forma boschiana rivendicando la legittimità di una storica e, per carità, anche perfettibile, della primordia Carta del ‘48.
L’Italia necessita, semmai, di veder applicato il primo articolo: Repubblica fondata sul lavoro. Da qui deve ripartire un paese normalmente normodotato di stabilità economica. Non c’è antipolitica nella richiesta di equilibrio sociale, non c’è demagogia nella richiesta di potere popolare.
Per quanto riguarda ciò che potrebbe essere definita con il termine “Renxit” c’è ben poco da dire. Certo, Renzi ha comunque sorpreso tutti. Le dimissioni le aveva paventate sin dall’inizio della campagna referendaria, poi ha però fatto il proverbiale passo indietro cercando di spersonalizzare la chiamata alle urne. Se vi si aggiunge la bassa credibilità che lo stesso aveva nei riguardi dei suoi cittadini appare evidente che nessuno c’avrebbe scommesso un centesimo. Invece ha mantenuto la parola data, cioè la prima, ritirandosi dalla guida del Governo.
Cosa accadrà sul panorama politico italiano è ancora presto a dirsi. Ciò che è sufficiente è prendere atto del fatto che il popolo si è riappropriato della sua sovranità, fin troppo calpestata.
Quel che si spera, semmai, è evitare che un ennesimo “clone” renziano prenda il posto dell’ex sindaco di Firenze. Ma si sa, si è pur sempre in Italia. Le sorprese, anche quelle belle, finiscono fin troppo presto.

Marco Marangio

giornalista pubblicista, dottore in Lettere Moderne, amministratore del blog Prima Pagina, autore di "Percorsi" (Albatros Il Filo, 2010) e di "Matteo Renzi - La parola sono io (Effigi editore, 2018)

I commenti sono chiusi.