INTERSTELLAR: E=m(Chris)²

Genere: Fantascienza
Attori: Matthew McConaughey, Anne Hathaway, Jessica Chastain, Michael Caine, John Lithgow
Regista: Christopher Nolan
Anno: 2014
Durata: 169 min
Musiche: Hans Zimmer
Voto: ***

 

Il futuro. Una terrificante piaga ha distrutto le risorse alimentari e le speranze dell’uomo. I beni primari, un tempo largamente prodotti, divengono precari; la Terra ha bisogno di agricoltori, non di ingegneri e scienziati.
Feroci tempeste di sabbia portano un drastico cambiamento climatico, deteriorando i campi di colture.
La Terra diviene dunque inabitabile, i letali pulviscoli intossicano l’aria. Sfruttando la misteriosa comparsa di un wormhole, l’umanità è pronta ad abbandonare la propria culla alzando lo sguardo verso nuovi mondi.
La teoria della relatività generale ha rivoluzionato la fisica e gettato le basi per una prima comprensione della geometria dell’universo.
Mai prima d’ora, meno che poche eccezioni, si era dato modo alla cinematografia di “rappresentare” la complessa equazione di campo sulla gravitazione e le ambigue implicazioni temporali.
Fonti della gravità sono tutti i corpi aventi massa, via via che la loro densità cresce, aumenta l’attrazione gravitazionale. Inoltre la gravità, come ci spiega Einstein, distorce lo spazio-tempo. Lo spazio-tempo è la geometria dell’universo, un continuum, una sorta di tessuto dove ogni intreccio costituisce un evento: un oggetto quadridimensionale caratterizzato da tre coordinate spaziali ed una temporale. E’ tale distorsione che influisce sugli eventi, dunque sullo scorrere del tempo, esso non scorre universalmente: non esiste un tempo assoluto. Il ticchettio degli orologi infatti rallenta man mano che ci si avvicina ad una fonte di gravità. Di magnifica bellezza è questa accezione che si materializza in immagini: lo slittamento temporale dei protagonisti.
Spunto di riflessione immancabile per Nolan è l’uomo, la sua natura e i suoi sogni. Nella pellicola egli è l’alieno di se stesso e questa tesi dà credito alla circolarità del tempo, ancora una volta alla relatività; il mondo è e non diviene, e non esiste alcuna distinzione tra passato, presente e futuro. Evocando ancora una volta Einstein, fondamentale chiave di lettura per il film, il tempo è per noi solo una ostinata illusione.
Dal lungometraggio emergono le prodezze e le impotenze della scienza; si percepisce l’esponenziale progresso tecnologico in contrasto con il limite impostoci dalla natura, la nostra capacità di misurare solo a nostra misura l’infinito.
Tuttavia i nodi della riflessione sono maggiormente terreni ed intimisti: la nostalgia, l’amore di un padre, la sopravvivenza.
Toccante e non convenzionale è il rapporto padre-figlia, pieno d’attrazione magnetica, un vero “campo gravitazionale d’amore”. Un rapporto che va oltre l’immensità del tempo e dello spazio, un’unità profonda vasta come la luce.
Arguta la metafora del genitore fantasma, “quando diventi genitore sei il fantasma del futuro dei tuoi figli”: il padre è parte della propria figlia, irradia un amore eterno che pullula di magica intesa.
Il personaggio del Dr. Mann, seppur una fuggevole parentesi, è il tipico elemento chimico da laboratorio del regista, a metà tra l’eroe e l’antieroe, alimentato spesso dalla pazzia, eclettico. Alla ricerca dell’impossibile, i fratelli Nolan, trasformano ogni tema quotidiano, ogni briciola del reale, con la fedeltà al loro spirito, in una descrizione vera che raggiunge il sublime.
Il regista dimostra ancora una volta la sua abilità da cineasta-costruttore di fantasie e storie, un costruttore di personaggi, l’artigiano di idee e sentimenti. Il costruttore di astronavi, con a bordo lo spettatore, che dal finestrino scorge meraviglie sfrecciando verso il labirintico ignoto. Anche se la storia appare per certi aspetti come una canonica parabola, la modalità del racconto è decisamente innovativa. La tecnica registica è un’inespugnabile fortezza: montaggio parallelo magistrale volto a destare nello spettatore una suspense concatenata. Buona interpretazione degli attori, effetti speciali d’avanguardia, musiche indimenticabili ed essenziali.
Hans Zimmer compone una colonna sonora divina, alternando ritmo lento e veloce, magnifica la sequenza accompagnata dall’organo.
Il director, con la consulenza del fisico Kip Thorne, ha modo di sprigionare tutto il suo amore per la fantascienza, del passato, da Kubrick a Tarkovskij, e quella più moderna, da Zemeckis a Scott.
Note negative. Alcune incongruenze nella sceneggiatura diventano dei veri buchi (neri?) di scrittura, l’idea di poter abitare pianeti prossimi alla bocca di un buco nero sbatte impetuosamente contro il muro tracciato del realismo. Dialoghi sull’amore pseudo filosofici che sfociano a volte nella banalità e un pizzico di troppo di ambiziosità. Un finale inoltre forse troppo ottimistico e poco nolaniano. Ma cosa sarebbe l’arte se mancasse l’imperfezione? Tutti faremmo lo stesso dipinto.
Nonostante i difetti resta un buon film di fantascienza da tener caro in questa “carestia d’autore” e sarà certamente il tempo a giudicarlo al meglio.
La riflessione più profonda che induce l’opera, vibrando armonicamente in testa, è sull’esistenza. Non siamo nulla. Materia organica che vaga a più di 100.000 km/h nell’infinita bellezza dello spazio-tempo. Una miserabile manciata di atomi di carbonio variamente aggrovigliati spinti dal coraggio di osare, di varcare le Colonne d’Ercole della conoscenza esteriore ed interiore. L’essere umano contempla la sua anima nell’infinito svolgersi di quest’universo, nell’infinito abisso del suo spirito.

Non andartene docile in quella buona notte, i vecchi dovrebbero bruciare e delirare al serrarsi del giorno; infuria, infuria, contro il morire della luce.” Professor Brand (Michael Caine)

Michele De Lorenzo

Ingegnere meccanico, accanito cinefilo, appassionato di letteratura, filosofia e musica.

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