Caso Raggi: c’era un Paese in coma

Pare non sia cambiato nulla, dalle ultime elezioni amministrative. Le due rocche forti d’Italia, Roma e Milano, erano in stand by qualche mese fa e lo sono tutt’ora. Le stesse rocche forti che, proprio in quanto tali, hanno seguito un paradossale destino di corruttiva mala politica. Da un lato mafia capitale, dall’altro Expo. Non è un caso se ad esserne vittime siano state la capitale d’Italia ed il centro economico dell’intera penisola. Il malaffare, la corruzione, la criminalità legalizzata (quella che agisce alle luce diurna, in doppiopetto e cravatta) passano attraverso i luoghi di potere, i luoghi istituzionali. Ed in essi vi filtrano, giorno dopo giorno, assenso dopo assenso, complicità dopo complicità, patto dopo patto. Benché le causalità, le contingenze politiche e territoriali siano diametralmente divergenti, Roma e Milano sono univoche in due punti: sono l’effetto, già citato, del potere criminale sulla politica e della combinazione camaleontica di entrambe; le due città sono tuttora immerse in una fase comatosa. Quel che duole e stride di più fra le due, e quella che inevitabilmente genera più rumore, è la giunta Raggi. Per vari motivi. Primo fra tutti, è insito nel Movimento 5 Stelle. Giacché è stato da sempre quest’ultimo l’unico partito nazionale che ha riscoperto la questione morale all’interno della società politica italiana, la cassa di risonanza mediatica è stata inevitabilmente più forte del ben più complesso e corrotto caso Sala. Non stupisce l’accanimento dei media nazionali nei riguardi della giunta romana e del Movimento in ambito parlamentare, quando la pessima gestione comunicativa da parte del M5S stesso. Benché in precedenza abbiano già avuto modo di misurarsi con diversi casi (mail di Di Maio, Pizzarotti e affini), pare che i pentastellati non sappiano né comunicare fra loro né tanto meno gestire la situazione in modo coerente, lineare ed immediato. Duole dirlo, ma il silenzio di Di Battista (rotto soltanto domenica 18 dicembre) ha fatto più rumore di qualsiasi altro caso ben più scandaloso. Purtroppo il tutto fa parte della strategia dei giochi: se si grida “onestà” ai propri avversari, è giusto che quando si è dall’altra parte della barricata si deve essere i primi a “difendersi” proprio per evitare che gli strumentali attacchi giornalistici non colpiscano chi è, magari, in buona fede. Duole dirlo, ma la gestione comunicativa del sindaco Raggi fa più danno che altro. Il video annuncio delle dimissioni della Muraro ha, realmente, dell’orrido dal punto di vista dello storytelling, dell’efficacia mediatica. Fra un’impostazione fallace e la satira (anche giusta), il passo è breve e le assonanze con le inquadrature di Kubrick sono immediate. Si deve essere sempre (per quanto possibile) inattaccabili, ma i vertici pare non ascoltino. Così come hanno fallito sulla propaganda del referendum costituzionale: animali antropomorfi, che neanche il più immaginifico Guillermo del Toro avrebbe potuto partorire. Altro punto dolente è la gestione dei vari meetup locali. E’ inutile girarci attorno. Anche sul caso romano, le diverse colpe, omissioni passano attraverso una selezione dei candidati e degli attivisti troppo libera, troppo sommaria. Fin quando i vertici non comprenderanno che “uno non vale uno”, allora taluni soggetti saranno sempre peggio dei Gasparri e dei Razzi. Virginia Raggi ha colpa? Ovviamente, ma meno di quanto i media possano narrarne, sempre meno di un Sala o di un Alemanno. Non c’è alcuna ruberia, né frode fiscale, né favoreggiamento mafiocriminale dietro questo caso. Certo, l’arresto di Marra meriterebbe essere analizzato più a fondo ma questi sono gli aspetti più “epidermici”, più semplici ma più incidenti e che come tali dovrebbero essere risolti al più presto. Al contempo, fa più rumore una negligenza come questa mentre il resto intero di un Paese è, ancora, in coma.

Marco Marangio

giornalista pubblicista, dottore in Lettere Moderne, amministratore del blog Prima Pagina, autore di "Percorsi" (Albatros Il Filo, 2010) e di "Matteo Renzi - La parola sono io (Effigi editore, 2018)

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