Moretti commuove Cannes, ma l’Italia lo snobba

Siamo sinceri. Il successo di Nanni Moretti a Cannes non è giunto inaspettatamente. Molti critici ne avevano tessuto le lodi anzitempo (stranamente), quasi tutti gli spettatori usciti dalla sala hanno sperato che “Mia madre” potesse raggiungere la notorietà che merita. Tutte queste speranze sono state ben riposte: “Mia madre” è un film drammatico ma dolce, intimo eppure corale, perspicace ma semplice. Nanni Moretti ha voluto imprimere in 106 minuti una storia famigliare, personale ed universale al contempo. E non ha deluso. D’altronde sinora il famoso regista di “Ecce bombo” e “La messa è finita” non ha mai lasciato sgomento il suo pubblico. Dopo l’introspezione vocazionale di “Habemus papam”, Moretti cerca di spiegare, a suo modo e differentemente da “La stanza del figlio” la malattia e la morte con un filtro registico magistrale che non è mai banale né stereotipato.
Il regista girotondino è, come Sorrentino e non solo, un autore maturo e mature sono le sue storie, i suoi personaggi. Il pubblico italiano, purtroppo, non lo è. Almeno sino a questo momento. Il lontano ed irraggiungibile processo di acculturazione pura, vede infatti una totale assenza di cultura e di preparazione alla stessa da parte anche delle Istituzioni. Il “popoletto” è appagato quando apprende che Zalone ha, ad esempio, conquistato il botteghino. Perché Zalone fa ridere, perché parla alla “pancia” più becera del Paese. Perché il popolo è stato educato che è preferibile prediligere pellicole, o presunte tali, che disimpegnino mente ed intelletto. Per questo Moretti, ed altri pochi registi del suo calibro, non entrano nel cuore di tutti gli spettatori italiani. Perché l’italiano, quello medio, non è ancora pronto a “Il Caimano”, a “La grande bellezza”, a “Mia madre” e probabilmente mai lo sarà in maniera totalizzante. Il paradigma del consumo nostrano, infatti, presuppone due fattori inscindibili: la rapidità e la semplicità della fruizione stessa. Ed è quindi chiaro che, alla luce di ciò, la poetica morettiana collide con tale genere di metabolismo culturale.
Il popolo, dopotutto, non ne è avvezzo perché mai è stato abituato dalla sua Patria genitoriale ad assorbire prodotti e/o capolavori di qualità impeccabile. Non è un caso che, a parte qualche sparuto TG e l’ormai assuefatto da se stesso Fabio Fazio, neanche la rete di Stato ha inserito nel proprio palinsesto un solo film di Moretti, per rendergli omaggio.
Un paese dovrebbe essere orgoglioso di un regista di tal fatta e mostrarlo degnamente alla Nazione intera. Invece, si preferiscono silenzio ed indifferenza generali. Eppure quasi certo è che Moretti s’avvede di tutto ciò, ma ride sommesso e percorre nonostante tutto la sua già gloriosa strada. Poiché, si sa, i grandi sono sempre soli.

Marco Marangio

giornalista pubblicista, dottore in Lettere Moderne, amministratore del blog Prima Pagina, autore di "Percorsi" (Albatros Il Filo, 2010) e di "Matteo Renzi - La parola sono io (Effigi editore, 2018)

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