Pasolini: la morte dell’intellettualità italiana, 40 anni dopo

“Un paese che uccide un suo intellettuale è un paese malato.”
Nonostante siano passati ben 40 anni da quel funesto 2 novembre del 1975 l’Italia pare non abbia imparato nulla.
Pier Paolo Pasolini, fini di respirare quella notte, per mano di ragazzi tipici dei suoi racconti, dei suoi film, della sua Roma. La Roma di borgata.
Il Paese ha cessato di aver intellettuali proprio da quel tragico momento. Ha frenato la sua lingua, ha bloccato la sua mano sulla macchina da presa, ha accecato i suoi occhi di acuto osservatore. Così facendo, l’Italia, ha cessato di desiderare, di partorire, di formare ogni tipo di libero pensiero, di incondizionata espressione scevra da ogni appartenenza partitica, classica o borghese.
L’emblema di quanto l’Italia non accetti oggigiorno intellettuali si può ricondurre al caso di Erri De Luca. Vi sono differenti modi per uccidere un pensiero e la censura, l’emarginazione, le condanne sono forse le armi più efficaci per un Paese meschinamente democratico.
Pasolini ha previsto il declino italico ben prima della sua prematura scomparsa: un declino culturale, politico, pedagogico, televisivo. Per questo, ancora oggi, le sue parole risuonano fortemente attuali, come pensate e pronunciate per questo secolo medievalmente tetro.
Pasolini ci ha donato un lascito che viene custodito gelosamente da chi continua a leggere, studiare, visionare, con accurata e famelica curiosità le sue opere. Che sia “Petrolio”, gli “Scritti corsari” o “Salò”, la società italiana si rispecchia tutt’ora in quel che lo scrittore vide mezzo secolo fa nello scorcio tra borghesia, politica e subcultura televisiva.
In un paese anormale come il nostro, nel quale anche la didattica liceale esclude il grande poeta dal proprio piano di studi, non si può far altro che ricordare e commemorare il suo pensiero. Esso è sì immortale, è sì imperituro.

L’italietta è piccola borghese, fascista, democristiana; è provinciale e ai margini della storia: la sua cultura è un umanesimo scolastico formale e volgare” (Pier Paolo Pasolini – Scritti corsari)

Marco Marangio

giornalista pubblicista, dottore in Lettere Moderne, amministratore del blog Prima Pagina, autore di "Percorsi" (Albatros Il Filo, 2010) e di "Matteo Renzi - La parola sono io (Effigi editore, 2018)

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