Referendum costituzionale: il “dalemone”

Era il 1995 quando Nanni Moretti intimava con “Aprile” l’allora punta di diamante della sinistra Massimo D’Alema. “Dì qualcosa di sinistra, anche non di sinistra, ma almeno dì qualcosa.”
L’immobilismo dell’apparato politico era così attonito dinanzi l’avanzamento della destra berlusconiana, così impietrito che per un lungo periodo la base dei veterani comunisti utilizzò la strategia migliore che avesse potuto partorire: un suicidio lento, quasi inconscio. Salvo poi adottare la tecnica della collusione più stretta del nemico.
Oggi, con uno scarto di vent’anni, in piena epoca post democratica, D’Alema ha trovato finalmente modo e ruolo per un rinvigorente ritorno dall’oltretomba. Lo sprone non sono state né la crisi economica, né la disoccupazione incessante, né i vergognosi inciuci fra Renzi e Verdini.
Lo sdegno di D’Alema è partito dalla personalizzazione renziana del referendum costituzionale. Che poi si sia schierato dalla parte del “no” è solo un dettaglio.
Le cause di questo effetto dalemiano del ritorno in campo, possono essere riassunte sommariamente in due punti.

1) La personalità è sempre anteposta alla qualità di qualsiasi proposta politica. Se Renzi può essere (giustamente) etichettato come megalomane è solo perché ha avuto ottimi maestri. Berlusconi in primis. D’Alema non è da meno, né come maestro né come eccessiva fiducia in se stesso. Già da tempo soffriva nell’essere relegato in panchina. Doveva pur trovare un pretesto favorevole per un repentino ritorno. Inutile dire quanto il referendum ne sia stata l’occasione più propizia. Era da tempo, infatti, che il buon Massimo non veniva indicato quale “emerito statista”, “genio del calcolo politico”. Epiteti, quest’ultimi, che furono cari a Sabina Guzzanti quando lo imitava verso la fine degli anni ‘90 sulle reti Rai: davanti una lavagna con simboli ed arzigogoli incomprensibili che andavano sotto il nome di “Dalemone”.
Quindi rieccolo: che sia ad Otto e Mezzo od ai convegni referendari per il “no”, egli è lì con il suo pacato atteggiamento di chi ostenta tranquilla ma anche inutile saggezza.

2) Il periodo storico in cui viviamo è fin troppo intriso di paradossali ed improbabili azioni politiche. La campagna referendaria del “si” ne è un degno testimone. Hanno propinato il “si” per combattere l’Isis, per aiutare la ricerca italiana, per creare più posti di lavoro. La demagogia più spicciola è financo giunta dagli Stati Uniti. Tanto è disperata la situazione di propaganda e comunicazione che, come ha ricordato anche Andrea Scanzi, fa rivalutare persino Massimo D’Alema. Appunto.

Una cosa è certa e lecita da chiedersi: ne avevamo davvero bisogno? Era necessario la rievocazione oltre tombale di un fantasma del passato? Eppure pare di si. Il contesto socio culturale è talmente ripiegato su se stesso che, evidentemente, non si poteva pretendere altro.
Certo è, che è preferibile un “no” netto anche (ahimè) di D’Alema piuttosto del “ni” pavido ed opportunistico di Pierluigi Bersani. Fortuna che il “no” ha, dalla sua, testimoni degni di questo nome. Basti pensare a Stefano Rodotà e Gustavo Zagrebelsky. Forse, in fondo, non tutto è perduto.
Diciamo!

Marco Marangio

giornalista pubblicista, dottore in Lettere Moderne, amministratore del blog Prima Pagina, autore di "Percorsi" (Albatros Il Filo, 2010) e di "Matteo Renzi - La parola sono io (Effigi editore, 2018)

I commenti sono chiusi.