ROBERTO SAVIANO LA LETTERA

Lo scrittore: "Assurdo preferire il silenzio, Berlusconi si scusi
con le vittime". "Non so se Mondadori è ancora adatta a me"

Presidente Silvio Berlusconi, le scrivo dopo che in una conferenza
stampa tenuta da lei a Palazzo Chigi sono stato accusato, anzi il
mio libro è stato accusato di essere responsabile di "supporto
promozionale alle cosche". Non sono accuse nuove. Mi vengono
rivolte da anni: si fermi un momento a pensare a cosa le sue parole
significano. A quanti cronisti, operatori sociali, a quanti
avvocati, giudici, magistrati, a quanti narratori, registi, ma
anche a quanti cittadini che da anni, in certe parti d’Italia,
trovano la forza di raccontare, di esporsi, di opporsi, pensi a
quanti hanno rischiato e stanno tutt’ora rischiando, eppure vengono
accusati di essere fiancheggiatori delle organizzazioni criminali
per il solo volerne parlare. Perché per lei è meglio non dire.


è meglio la narrativa del silenzio. Del visto e taciuto. Del
lasciar fare alle polizie ai tribunali come se le mafie fossero
cosa loro. Affari loro. E le mafie vogliono esattamente che i loro
affari siano cosa loro, Cosa nostra appunto è un’espressione ancor
prima di divenire il nome di un’organizzazione.


Io credo che solo e unicamente la verità serva a dare dignità a un
Paese. Il potere mafioso è determinato da chi racconta il crimine o
da chi commette il crimine?




Il ruolo della ‘ndrangheta, della camorra, di Cosa nostra è
determinato dal suo volume d’affari – cento miliardi di euro
all’anno di profitto – un volume d’affari che supera di gran lunga
le più granitiche aziende italiane. Questo può non esser detto? Lei
stesso ha presentato un dato che parla del sequestro alle mafie per
un valore pari a dieci miliardi di euro. Questo significa che sono
gli scrittori ad inventare? Ad esagerare? A commettere crimine con
la loro parola? Perché? Michele Greco il boss di Cosa Nostra morto
in carcere al processo contro di lui si difese dicendo che "era
tutta colpa de Il Padrino" se in Sicilia venivano istruiti processi
contro la mafia. Nicola Schiavone, il padre dei boss Francesco
Schiavone e Walter Schiavone, dinanzi alle telecamere ha ribadito
che la camorra era nella testa di chi scriveva di camorra, che il
fenomeno era solo legato al crimine di strada e che io stesso ero
il vero camorrista che scriveva di queste storie quando raccontava
che la camorra era impresa, cemento, rifiuti, politica.





Per i clan che in questi anni si sono visti raccontare, la parola
ha rappresentato sempre un affronto perché rendeva di tutti
informazioni e comportamenti che volevano restassero di pochi.
Perché quando la parola rende cittadinanza universale a quelli che
prima erano considerati argomenti particolari, lontani, per pochi,
è in quell’istante che sta chiamando un intervento di tutti, un
impegno di molti, una decisione che non riguarda più solo addetti
ai lavori e cronisti di nera. Le ricordo le parole di Paolo
Borsellino in ricordo di Giovanni Falcone pronunciate poco prima
che lui stesso fosse ammazzato. "La lotta alla mafia è il primo
problema da risolvere … non deve essere soltanto una distaccata
opera di repressione ma un movimento culturale e morale che
coinvolga tutti e specialmente le giovani generazioni le spinga a
sentire subito la bellezza del fresco profumo di libertà che fa
rifiutare il puzzo del compromesso morale della indifferenza della
contiguità e quindi della complicità. Ricordo la felicità di
Falcone quando in un breve periodo di entusiasmo mi disse: la gente
fa il tifo per noi. E con ciò non intendeva riferirsi soltanto al
conforto che l’appoggio morale dà al lavoro dei giudici,
significava soprattutto che il nostro lavoro stava anche smuovendo
le coscienze".




Il silenzio è ciò che vogliono. Vogliono che tutto si riduca a un
problema tra guardie e ladri. Ma non è così. E’ mostrando, facendo
vedere, che si ha la possibilità di avere un contrasto. Lo stesso
Piano Caserta che il suo governo ha attuato è partito perché è
stata accesa la luce sull’organizzazione dei casalesi prima nota
solo agli addetti ai lavori e a chi subiva i suoi ricatti.


Eppure la sua non è un’accusa nuova. Anche molte personalità del
centrosinistra campano, quando uscì il libro, dissero che avevo
diffamato il rinascimento napoletano, che mi ero fatto pubblicità,
che la mia era semplicemente un’insana voglia di apparire. Quando
c’è un incendio si lascia fuggire chi ha appiccato le fiamme e si
dà la colpa a chi ha dato l’allarme? Guardando a chi ha pagato con
la vita la lotta per la verità, trovo assurdo e sconfortante
pensare che il silenzio sia l’unica strada raccomandabile. Eppure,
Presidente, avrebbe potuto dire molte cose per dimostrare l’impegno
antimafia degli italiani. Avrebbe potuto raccontare che l’Italia è
il paese con la migliore legislazione antimafia del mondo. Avrebbe
potuto ricordare di come noi italiani offriamo il know-how
dell’antimafia a mezzo mondo. Le organizzazioni criminali in questa
fase di crisi generalizzata si stanno infiltrando nei sistemi
finanziari ed economici dell’occidente e oggi gli esperti italiani
vengono chiamati a dare informazioni per aiutare i governi a
combattere le organizzazioni criminali di ogni genealogia. E’
drammatico – e ne siamo consapevoli in molti – essere etichettati
mafiosi ogni volta che un italiano supera i confini della sua
terra. Certo che lo è. Ma non è con il silenzio che mostriamo di
essere diversi e migliori.




Diffondendo il valore della responsabilità, del coraggio del dire,
del valore della denuncia, della forza dell’accusa, possiamo
cambiare le cose.




Accusare chi racconta il potere della criminalità organizzata di
fare cattiva pubblicità al paese non è un modo per migliorare
l’immagine italiana quanto piuttosto per isolare chi lo fa.
Raccontare è il modo per innescare il cambiamento. Questa è l’unica
strada per dimostrare che siamo il paese di Giovanni Falcone, di
Don Peppe Diana, e non il paese di Totò Riina e di Schiavone
Sandokan. Credo che nella battaglia antimafia non ci sia una destra
o una sinistra con cui stare. Credo semplicemente che ci sia un
movimento culturale e morale al quale aspirare. Io continuerò a
parlare a tutti, qualunque sarà il credo politico, anche e
soprattutto ai suoi elettori, Presidente: molti di loro, credo,
saranno rimasti sbigottiti ed indignati dalle sue parole. Chiedo ai
suoi elettori, chiedo agli elettori del Pdl di aiutarla a smentire
le sue parole. E’ l’unico modo per ridare la giusta direzione alla
lotta alla mafia. Chiederei di porgere le sue scuse non a me – che
ormai ci sono abituato – ma ai parenti delle vittime di tutti
coloro che sono caduti raccontando. Io sono un autore che ha
pubblicato i suoi libri per Mondadori e Einaudi, entrambe case
editrici di proprietà della sua famiglia. Ho sempre pensato che la
storia partita da molto lontano della Mondadori fosse pienamente in
linea per accettare un tipo di narrazione come la mia, pensavo che
avesse gli strumenti per convalidare anche posizioni forti,
correnti di pensiero diverse. Dopo le sue parole non so se sarà più
così. E non so se lo sarà per tutti gli autori che si sono occupati
di mafie esponendo loro stessi e che Mondadori e Einaudi in questi
anni hanno pubblicato. La cosa che farò sarà incontrare le persone
nella casa editrice che in questi anni hanno lavorato con me, donne
e uomini che hanno creduto nelle mie parole e sono riuscite a far
arrivare le mie storie al grande pubblico. Persone che hanno spesso
dovuto difendersi dall’accusa di essere editor, uffici stampa,
dirigenti, "comprati". E che invece fino ad ora hanno svolto un
grande lavoro. E’ da loro che voglio risposte.




Una cosa è certa: io, come molti altri, continueremo a raccontare.
Userò la parola come un modo per condividere, per aggiustare il
mondo, per capire. Sono nato, caro Presidente, in una terra
meravigliosa e purtroppo devastata, la cui bellezza però continua a
darmi forza per sognare la possibilità di una Italia diversa. Una
Italia che può cambiare solo se il sud può cambiare. Lo giuro
Presidente, anche a nome degli italiani che considerano i propri
morti tutti coloro che sono caduti combattendo le organizzazioni
criminali, che non ci sarà giorno in cui taceremo. Questo lo
prometto. A voce alta.

©2010 Roberto Saviano/

Agenzia Santachiara



 

Marco Marangio

giornalista pubblicista, dottore in Lettere Moderne, amministratore del blog Prima Pagina, autore di "Percorsi" (Albatros Il Filo, 2010) e di "Matteo Renzi - La parola sono io (Effigi editore, 2018)

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