IL GRANDE GATSBY: UNA DELUSIONE, “VECCHIO MIO!”

Genere: Drammatico/Romantico
Attori: Leonardo Di Caprio, Tobey Maguire , Carey Mulligan, Joel Edgerton , Isla Fisher, Elizabeth Debicki
Regista: Baz Luhrmann
Musiche: Craig Armstrong
Anno : 2013
Durata: 143 min
Voto: *1/2


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Nick Carraway (Tobey Maguire) , un giovane agente di borsa, si trasferisce a Long Island dove vive sua cugina Daisy Buchanan (Carey Mulligan), da poco sposata con il miliardario Tom Buchanan (Joel Edgerton). Nick, circondato da sontuose ville, scopre di avere come vicino di casa un noto e misterioso personaggio, Gatsby (Leonardo di Caprio), il quale organizza feste faraoniche. Ricevendo l’invito di presentarsi ad una di esse conosce di persona il padrone di casa, il suo passato ed il suo tormentoso amore per Daisy.
Il regista visionario di Moulin Rouge, Baz Luhrmann, tenta di riportare, dopo la terza volta al cinema, il famoso romanzo di Fitzgerald.
L’ultima trasposizione avvenne nel 1974 con la regia di Jack Clayton e la sceneggiatura di Francis Ford Coppola, ma purtroppo l’intento di Luhrmann di fare meglio dei sui predecessori sfuma ed il regista è vittima della sua esuberanza e oniricità.48806
La sceneggiatura, oggettivamente, rispetta abbastanza bene la trama del libro, ma Luhrmann, anche sceneggiatore, non ha saputo andare oltre il romanzo, oltre le parole. Non ha saputo cogliere lo spirito del libro,del tutto assente; il Grande Gatsby di Fitzgerald era la cartina tornasole degli anni ’20 ed il film è lontano anni luce da quest’ottica.
Inoltre si concentra solo ed esclusivamente sulla storia d’amore tra Gatsby e Daisy, lasciando solo da sfondo altri temi, il tema storico della ripresa del dopoguerra e la riflessione sull’alta borghesia americana. Il sogno americano passa dunque in secondo piano arricchendo inutilmente il lungometraggio di un romanticismo stucchevole.
Coppola, indubbiamente, aveva fatto di meglio anche se di fatto la sua sceneggiatura non si concretizzò e venne mal prodotta.
Risulta un’opera Hollywoodiana come tante altre, il film non scorre bene e annoia.
Il regista agghinda il film di sfarzosità e barocchismo, esaltando le feste, in pieno “stile Arcoriano” e l’estetica, con un massiccio uso di effetti speciali del tutto gratuiti.
Bella la scenografia e ben fatti i costumi, ma poca affinità chimica tra le musiche e le immagini, l’hip-hop di Beyoncé e Jay-Z non aiuta lo spettatore ad immedesimarsi nell’epoca.
Luhrmann motiva quest’ultima scelta per dare un tocco di modernità e proiettare il film fino ai giorni nostri, ma ciò non è indispensabile, in realtà è la conferma della “linea commerciale” che il director si prefiggeva.
Maguire non convince, il suo personaggio non gli si addice, Di Caprio recita splendidamente uguagliando l’eleganza e la bravura di Robert Redford (Gatsby nel film del 1974), ma di certo ha saputo far di meglio. Scelta azzeccata è la bella attrice Carey Mulligan.
Film mediocre che si risolleva di un po’ solo sul finale; rispetta i soliti diktat del cinema americano, i prerequisiti Hollywoodiani che lo rendono più appetibile alle masse.

di Michele De Lorenzo

Marco Marangio

giornalista pubblicista, dottore in Lettere Moderne, amministratore del blog Prima Pagina, autore di "Percorsi" (Albatros Il Filo, 2010) e di "Matteo Renzi - La parola sono io (Effigi editore, 2018)

2 commenti:

  1. Sinceramente… Non sono per niente d’accordo! Il film è un vero capolavoro, Maguire è perfetto per Nick, e poi, il film non annoia mai e non è pieno di esuberanza. Lurhmann è un regista strano, già visto con DiCaprio in Romeo+Giulietta, ma non si può dire che non ha centrato in pieno ogni fase, ogni parola, ogni minimo particolare era perfetto.

    • I pareri discordanti sono sempre ben accetti, ti ringrazio per la sincerità. Chiamarlo capolavoro penso sia eccessivo; dopo aver visto, Truffaut, Hitchcock e Kubrick (solo per citarne alcuni), i maestri del cinema, riesci a stabilire una metrica per la critica e dunque sulla valutazione di un film. Siamo ben lontani da un capolavoro, chiamarlo tale, sinceramente, è un’offesa rivolta a quei grandi directors. Lhurmann è per certi aspetti “strano” come tu dici, ma, secondo me, si è montato troppo la testa; l’inutile marcatura sull’estetica è evidente e la si nota ancor più facendo un confronto con il Grande Gatsby di Clayton (secondo me superiore). Fitzgerald, come Hemingway, era un esperto ritrattista della società americana degli anni ruggenti e attraverso le sue opere, analizzava fino all’osso la questione sociale e morale. Quando scrivo che bisogna andare oltre le parole, mi riferisco proprio a questo, alla vera natura del romanzo, l’animo del libro e dello scrittore dove sono?

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