“L’Italia che resiste”, cantava e canta tuttora Francesco De Gregori. Eppure da quel 25 aprile 1945 il valore della resistenza, in quanto tale in essenza, è stato dimenticato tanto da essere oggi oggetto di critica. Partendo proprio dalla natura della stessa commemorazione: dal valore della Resistenza si è ormai giunti a quella della divergenza, dello scontro continuo e perpetuo.
Negli ultimi tempi, partendo anzitutto dai regimi berlusconiani passando poi a quelli definiti falsamente di sinistra, si è acuito un inutile dibattito dicotomico fra fascisti ed antifascisti, fra partigiani e repubblichini. E’ anacronistico, nel 2017, non tanto sentir parlare di fascismi, quanto piuttosto di antifascisti. Chi tale si definisce non ha ben chiaro che il fascismo ha cambiato nome ed ha indossato le vesti del capitalismo più imperante, della monarchia assoluta del dollaro. Dal 1945 l’Italia s’è sì liberata dal giogo del nazifascismo ma è pur vero che è entrata, sempre più gradualmente, nel servilismo americano più stretto e becero: partendo dalle basi militari installate sulla nostra Penisola per giungere infine alle politiche internazionali ed ai mercati alimentari. Chi a dicembre si è stupito del “coming out” di Obama nei riguardi del nostro referendum costituzionale, chi l’altro giorno si è scandalizzato dinanzi al dictat di Trump sul fatto che l’Italia debba pagare sonoramente i contributi Nato ha evidentemente ha sinora vissuto in un bunker, sordo e lontano dalla narrazione quotidiana e dagli insegnamenti che la Storia avrebbe dovuto impartirci. Questo è il dazio che l’italia paga in quanto colonia statunitense, in quanto facente parte dell’altro organismo dispotico definito come (dis)Unione Europea.
Pertanto, se tali antifascisti lasciassero perdere gli inutili e sterili cori dei repubblichini ancora viventi e resistessero davvero, parlerebbero di resistenza al sistema di cui l’Italia è servo e succube. Proprio in virtù di ciò che eroicamente fecero i Partigiani, di ciò che soffrì Gramsci nel carcere: rivolgersi contro un sistema di schiacciante schiavitù e servile dogmatismo dittatoriale. Nel secolo scorso prese il nome di fascismo, oggi il più sottile e sfuggevole paradigma di “cooperazione internazionale”.
Per tale motivo credo che, così come è celebrato falsamente ed ipocritamente il 25 aprile, sia “ibernato”: dopo decenni non s’è ancora superato (in cultura ed in contesto socio politico) il puerile battibecco fra fascismi, comunità ebraiche ed antifascisti. Un paese normale, per citare Enzo Biagi, sarebbe andato oltre ed avrebbe affrontato il nuovo nemico, il nuovo sistema avverso, il nuovo sonno della ragione: il capitalismo che oggi ci rende servi e schiavi, mercificando il lavoro stesso.
Emblematica e provocatoria è l’immagine di Roger Waters che nel suo film-spettacolo “The Wall” veste i panni di un generale nazista, simbolo che le dittature sono ancora qui, sotto altra veste, sotto altri nomi. L’importante è saper leggere la Storia ed il nostro quotidiano.