Referendum costituzionale: perché il bicameralismo non finirà

La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere”. Questo è il conciso, breve e funzionale art. 70 scritto dai padri Costituenti. Lo stesso art. 70 che è stato in questi mesi al centro della (giusta) polemica e critica nel cuore del referendum costituzionale del 4 dicembre.
Punto chiave della critica mossa in tal senso contro la (schi)forma Boschi – Verdini può essere facilmente compreso qualora si leggesse, anche senza eccessiva attenzione, il nuovo articolo 70 del futuro Senato renziano. Difatti, dalle sole e semplici nove parole dell’art. 70 vigente tuttora, si passa in maniera grammaticalmente scomposta e malforme ad uno sproloquio incomprensibile lungo pagine ma sopratutto complesso, macchinoso e machiavellico.
Partiamo con ordine, sebbene in maniera sintetica.
Ad essere sviscerati, in primis, sono i ddl che il senato può e/o deve revisionare dalla Camera dei deputati. Ogni proposta di legge verrà, in futuro, accorpata ad una “categoria” (termine esemplificativo, sia chiaro) di appartenenza a cui corrispondono commi e sotto commi di riferimento. Un esempio, citando alla lettera quel che è più riferibile ad un neo Frankestein, piuttosto che al nuovo art. 70:
“La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due camere per le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali, e soltanto per le leggi di attuazione delle disposizioni costituzionali concernenti la tutela delle minoranze linguistiche, i referendum popolari, le altre forme di consultazione di cui all’art. 71, per le leggi che determinano l’ordinamento, la legislazione elettorale, gli organi di governo, le funzioni fondamentali dei Comuni […].”
Si continua con un elenco interminabile di casistiche nelle quali è previsto l’intervento del Senato senza punti, sino a giungere nella “zona” comma: […]i casi di ineleggibilità, con l’ufficio di senatore di cui all’articolo 65, primo comma, e per le leggi di cui agli articoli 57, sesto comma, 80, secondo periodo, 114, terzo comma, 117, quinto e nono comma, 119, sesto comma, 120, secondo comma, 112, primo comma, e 132, secondo comma.” Questo il primo punto, dopo 34 righe incomprensibili e prolisse di virgole e commi. Motivo per cui, i comitati dei docenti italiani di diritto (e non solo) sono intervenuti affermando quanto sarebbe impossibile spiegare ai propri alunni la nuova riforma renziana, tanto è acefala grammaticalmente.
Sottolineato tale aspetto (per nulla trascurabile), è opportuno riflettere su quanto il bicameralismo sia permanente anche e sopratutto con l’intervento grossolano adottato dal Governo. Tutto ciò viene confermato, ed ulteriormente complicato, con i successivi commi del neo art.70 nei quali viene “spiegata” (si fa per dire) la tempistica che spetta ai senatori per adempiere ai loro doveri, nonostante il dopolavoro di consiglieri regionali o sindaci. In estrema sintesi:

  • ogni ddl può essere richiesto dal Senato per essere esaminato entro dieci giorni e da un terzo dei senatori;
  • l’esame da parte del Senato deve essere effettuato entro 10 giorni dalla data i trasmissione;
  • il Senato può proporre modifiche entro 15 giorni dalla data di trasmissione degli stessi.

Tale macchinosa corrispondenza fra le due Camere non solo riconferma il bicameralismo, ma lo complica ulteriormente. D’altronde conosciamo fin troppo bene la nostra classe dirigente e negli anni ha fatto più danni che altro con il già sufficiente art.70 vigente. Figuriamoci cosa accadrebbe se gli stessi deputati e senatori (quelli “esperti”, quelli “tecnici”, quelli “statisti”) dovessero adempiere al confuso e sgrammaticato art.70 renziano.
Chi ha detto Gasparri?

 

Marco Marangio

giornalista pubblicista, dottore in Lettere Moderne, amministratore del blog Prima Pagina, autore di "Percorsi" (Albatros Il Filo, 2010) e di "Matteo Renzi - La parola sono io (Effigi editore, 2018)

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