ore 20,30 al teatro Don Bosco a San Pietro Vernotico la Compagnia “Quelli del Cactus” di Napoli
SAN PIETRO VERNOTICO – Primo grande successo dell’allora venticinquenne Georges Feydeau, “Sarto per signora” fu accolto, sin dalla sua prima rappresentazione nel 1887, da un grande consenso della critica e del pubblico, contribuendo significativamente al rilancio del vaudeville ottocentesco, destinato alla decadenza.
Da allora questa esilarante rappresentazione non ha smesso di divertire il suo pubblico, grazie ad un meccanismo comico perfetto, un congegno ad orologeria che strappa risate a getto continuo.
Un’altra caratteristica di Feydeau è la prodigiosa destrezza, nonché l’incredibile agilità con cui passa da un quiproquo all’altro trovando il dettaglio o la battuta giusta che lo renderà accettabile agli occhi del pubblico.
Tutta la vicenda gravita intorno ad un dottore un po’ farfallone il quale, per evitare che la moglie scopra il suo tradimento extra-coniugale, inventa bugie sempre più inverosimili finché, invischiato nelle sue stesse finzioni, si trova obbligato a farsi passare come “sarto per signora”.
Attorno a lui agiscono: sua moglie ingenua e fragile; la pedante suocera; il candido domestico; la potenziale amante e moglie di un uomo che a sua volta è amante di una ex prostituta che finge di appartenere all’aristocrazia parigina.
Le avventure/disavventure dei personaggi sembrano svilupparsi naturalmente, come in un gioco del caso, che l’autore si diverte ad osservare assieme allo spettatore. Con una lettura più attenta, ci si accorge che l’autore obbliga i propri personaggi ad una appassionante danza degli equivoci. Nulla è lasciato al caso. Tutti i personaggi interagiscono tra loro, incontrandosi e sfuggendosi, creando situazioni ad incastri, sempre più sorprendenti, disegnando come una tela di ragno.
Feydeau è un gran burattinaio, che inventa le occasioni e poi si diverte ad osservare i suoi personaggi che si dibattono disperatamente. Offre loro una raffica di battute, uno scoppiettante fuoco di artificio. Ma prima ancora, un teatro di situazione dell’equivoco all’ennesima potenza. Il lieto fine di questa farsa non è così scontato, i personaggi, una volta calmate le acque, sono pronti a ricominciare i loro intricatissimi imbrogli. La farsa è figlia del suo tempo: ci offre un esempio della borghesia cinica, disincantata e bigotta.
Siamo in piena Belle Epoque, ma la borghesia di oggi non è così dissimile: è come trovarsi di fronte ad uno specchio deformante, in cui osservare i nostri molti vizi e le nostre poche virtù. Oggi come ieri. Così, ridendo dei personaggi, in realtà ridiamo di noi stessi, anche se non vogliamo confessarlo. Certo si può cercare di approfondire un poco la psicologia dei personaggi, ma non più di tanto: la loro lievità non lo consente. Nel vorticoso, velocissimo rincorrersi, che obbliga ad un ritmo indiavolato di interpretazione , i nostri eroi si rivelano prototipi perfetti della pochade, dove non si lavora, dove si parla tanto di corna, di tradimenti, di amanti, ma in realtà non si conclude mai. È una favola , a cui bisogna lasciarsi andare, per sorridere, ridere e divertirsi.