San Foca, No Tap: la lunga mano della dittatura europea

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foto di lecceprima.it

In principio era il petrolio. Ad esso si aggiunsero le multinazionali di gas e benzina. Poi venne la volta del suo commercio trasposto su scala globale, legalizzata dalle superpotenze americanocentriche e, successivamente, europee. Queste ultime, per garantire la proliferazione dei nuovi confini commerciali ed affaristici, hanno garantito e “benedetto” con il solito mantra europeocratico “ce lo chiede l’Europa” il gasdotto Tap. Per garantire il suo passaggio strategico sul territorio pugliese hanno “benedetto” la crociata contro gli ulivi categorizzandola come “xylella”.
Da cittadino, in primis, e da giornalista, in seconda istanza, ho partecipato alle prime manifestazioni Giù le mani dal nostro mare, organizzate dai meet-up locali e dall’associazione “No al carbone” di Brindisi, al fine di sensibilizzare i cittadini sul tema del malefico gasdotto. Molti di essi facevano il bagno sordi a ogni avvertimento, altri guardavano attoniti e scandalizzati gli attivisti. Altri ancora si univano al cordone lungo la battigia. Dal giugno 2014 ad oggi molto è stato fatto per arginare il pugno di ferro del TAP, molto altro ha invece portato alla conferma ferrea, forte e potente dei grandi decisori imperanti su territorio locale ed europeo. Ciò è dovuto non solo alla democrazia dittatoriale dei signori mondialisti, ma anche al silenzio assordante dei cittadini che sono rimasti inermi dinanzi l’avanzare dell’omicidio nei riguardi della loro stessa terra.
L’opinione pubblica non è ancora pronta ad essere parte attiva nelle lotte che contano davvero (come quella che si è consumata martedì 28 marzo a San Foca), perciò rimane attonita ed impietrita, così come era attonita ed impietrita quando nel 2014 il tour “Giù le mani dal nostro mare” percorreva tutte le spiagge del Salento e oltre.
Duole dirlo, ma gli eroi che hanno opposto resistenza alle forze dell’ordine (fra liberi cittadini, attivisti, sindaci, consiglieri) non bastano per una mobilitazione locale globale per fermare il massacro di un territorio storico. Ciò la dice lunga anche e sopratutto sui poliziotti che hanno manganellato e caricato i loro stessi concittadini. Quando i caschi blu comprenderanno che i “nemici” non sono i loro fratelli conterranei, ma i noti e gli ignoti signori dei poteri sia europei che provinciali e locali, quando oltrepasseranno la barricata e manifesteranno anch’essi, forse solo allora si potrà iniziare a parlare di rivoluzione civile.
Ad oggi possiamo solo prendere atto che nulla di democratico è eseguito dai vertici che controllano il nostro territorio. Tutti sono complici in questa fitta rete costruita con strumentali e gretti legami di interessi economici e politici.
Io so i nomi, ma non ho le prove, non ho nemmeno indizi” scrisse Pasolini nel ‘74 riguardo ai mandanti delle stragi di Bologna. Potremmo usare la sua massima applicandola ancora oggi nei confronti di chi opera in nome delle multinazionali e dei dictat europei.
Non abbiamo prove, ma abbiamo il diritto di riprenderci ciò che è nostro in nome dei nostri padri. Il tempo di restare impassibili dinanzi agli abusi di potere è terminato già da tempo. Quanto alla rivoluzione è probabile che arrivi, ma solo nel momento in cui non solo avremo toccato il fondo ma sopratutto quando europeisti e politici locali ad essi connessi ci avranno costretti ad esaurire il limite di sopportazione civile.

Marco Marangio

giornalista pubblicista, dottore in Lettere Moderne, amministratore del blog Prima Pagina, autore di "Percorsi" (Albatros Il Filo, 2010) e di "Matteo Renzi - La parola sono io (Effigi editore, 2018)

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