In difesa di Alien Covenant

alien covenantTanto si è detto sull’ultimo lavoro di Ridley Scott. E’ strano aver letto in questi giorni, subito dopo l’uscita della pellicola, che Alien Covenant è una delusione senza pari. Una polarizzazione nel bocciare totalmente un film si può accettare solo quando si parla di Michael Bay, di certo non quando c’è di mezzo un maestro cinematografico come Scott.
Tale protesta si accosta al giudizio negativo che è stato espresso anni fa dopo l’uscita di “Prometheus” (2012).
Tutti: recensori, opinionisti, amanti della saga e non salvano l’aspetto tecnico ma affossano la storia e la sua relativa scrittura.
Dal 1979 in poi, i fan hanno da sempre ricercato ciò che i film dedicati e collegati alla saga di Alien avevano lasciato in “background”: l’origine degli xenomorfi. Negli anni è stato necessario esplorare il mondo creato da Scott/Giger fra fumetti ed adattamenti videoludici.
Per questo, Prometheus è stato (quasi) illuminante ed io l’ho apprezzato non solo dal punto di vista registico (nulla si può rimproverare in questo senso ad un autore come Scott), ma sopratutto sulla sceneggiatura.
L’inserimento del mondo dei cosiddetti “ingegneri” ha aperto un grande varco narrativo, attraverso cui passa Covenant.
E’ ormai noto che quest’ultimo si ambienta 10 anni dopo Prometheus e proprio da lui riprende un tema fondante: la creazione.
Lo si evince da subito, sin dai primi minuti del film. Il dialogo fra Weiland (Guy Pearce) e David (Michael Fassbender) racchiude in se non solo la maestria nella scrittura (che delinea in poche e secche battute i caratteri dei due personaggi) ma l’essenza stessa del film e, probabilmente, di tutta quella sarà il futuro continuativo della saga prequel.
Citando Stanley Kubrick per stile e tematica metafisica (senza tralasciare le note di R. Wagner) il regista suggerisce allo spettatore cosa sarà Alien Covenant per i prossimi 120 minuti. Se Fassbender regna nel prologo, farà lo stesso durante lo svolgersi dei due tempi sdoppiando addirittura se stesso. alien covenant
Se un buon film, anche di fantascienza, anche con venature horror, si misura nella caratterizzazione del protagonista e del suo antagonista, allora Alien Covenant non fallisce in questo intento. Tale dicotomia è ben scritta, con una sceneggiatura ben costruita (ma non solidissima come dovrebbe).
Siamo chiari: Covenant non è un film perfetto, né un capolavoro (almeno per il momento). E’ un buon film, ottimamente girato e che vede proprio nel suo punto di forza attoriale (Fassbender) la genesi di uno dei problemi della pellicola.
Il resto del cast, infatti, non è all’altezza del proprio compito e nessuno degli altri attori (inclusa Katherine Waterston che nei panni di Daniels non riesce a conquistare il posto di Noomi Rapace in Prometheus, benché meno quello di S. Weaver) riesce ad imporre la propria presenza sullo schermo.
Altra nota dolente è la presenza di alcuni cliché inseriti qui e là, sopratutto nella parte finale. Se alcuni sono ben riusciti, altri non permettono al film di essere “snello” ed essenziale come dovrebbe essere.
La storia di fondo resta ben innestata nel complesso dando spiegazione anche all’arco narrativo rimasto scoperto dopo Prometheus.
Credo che il malcontento generale che molti hanno manifestato sia dovuto al fatto che un po’ tutti attendevano con ansia una maggiore presenza dei già citati “ingegneri” che restano invece sullo sfondo, come in un bassorilievo. E’ bene invece riflettere che questo altro non era se non il desiderio dei fan, non del regista. Scott ha invece voluto affrontare il tema della creazione da un punto di vista differente che passa attraverso gli occhi del vero protagonista di Alien Covenant. Né più, né meno.
Essendo tale punto narrativo ben scritto e ben interpretato, nulla si può dire di negativo a riguardo. Tutto il resto è solo il malcontento effimero degli spettatori e “cultori” che avrebbero desiderato vedere altro.
Alien Covenant, oltretutto, chiude se stesso nel modo in cui l’alto incipit aveva iniziato e “viziato” lo spettatore: con un felice accenno di Wagner ed un retrogusto nazifascista che fa da eco ai nostri giorni.
Se questo non è un buon film, allora il Michael Bay che è in noi ha già vinto.

Marco Marangio

giornalista pubblicista, dottore in Lettere Moderne, amministratore del blog Prima Pagina, autore di "Percorsi" (Albatros Il Filo, 2010) e di "Matteo Renzi - La parola sono io (Effigi editore, 2018)

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