Sia chiaro. Raggiungere il quorum, nel referendum del 17 aprile, era difficile. Non impossibile, ma comunque l’obiettivo era al di là della portata intellettuale ed informativa degli italiani.
La percentuale di astensionismo, un deprecabile e terrificante 68%, ne è testimonianza. Un colpo duro. Un colpo inferto dapprima dal governo più democristiano della DC stessa degli anni ’70, la cui arma è stata il premier stesso, poi dalla invisibile campagna non informativa sul quesito referendario. Renzi, avanzando la possibilità dell’astensione, non solo ha liberamente espresso pareri anti costituzionali ma ha subdolamente (sino a un certo punto) offerto ai cittadini una terza via: quella del non voto. Ha, traducendo in termini più esplicativi, legalizzato un’azione che va contro la natura stessa di una democrazia degna di questo nome. Il tutto è stato accompagnato dal silenzio quasi totale di quasi tutti i mezzi di informazione nazionali. Seguendo il paradigma più noto ai cittadini di questo Paese ormai allo sbando, l’effetto è stato pressoché logico: astensione quasi totale.
Come al solito, Renzi non s’è smentito. Ha puntato, anche in questo caso, alla personalizzazione della battaglia politica, inducendo i cittadini a credere che, l’atto di andare a votare (magari con un bel “si” secco e convinto) fosse un affronto, una sfida all’Italia. Quindi a lui. La sua bieca arroganza, lo anche ha portato durante la conferenza stampa post referendum ad attaccare tv, talk show e social media. Fortuna che, in piena diretta, Enrico Mentana ha avuto l’onesta ed il coraggio di .
Il silenzio più assordante, non è stato però né quello informativo né quello istituzionale. Il silenzio più “indecente” è stato quello degli astensionisti. Coloro i quali si sono, direttamente o indirettamente, affiliati al dictat governativo hanno contribuito alla “sdemocratizzazione” di uno dei processi e momenti più salienti di una Repubblica come quella italiana.
Il “silenzio degli indecenti” è stato quello dei consiglieri comunali e provinciali (giacché è giusto ricordare quanto un referendum si gioca sopratutto nei più capillari distretti delle regioni) del PD che in alcun modo hanno affrontato l’argomento della votazione. Il “silenzio degli indecenti” è stato dei giovani, sopratutto precari, che hanno completamente bypassato la chiamata alla urne denominando la stessa come “inutile” e “fuorviante”. Proprio in loro, invece, sarebbe dovuto accrescere il desiderio di cambiamento del Paese nel quale vivono, si formano, vengono istruiti. Il “silenzio degli indecenti” è stato dei soliti italioti che 364 giorni l’anno si lamentano dei governi passati, presenti e futuri. Eppure, quando sono chiamati ad esprimere il più sacro dei diritti ed il più sofferto dei doveri si mimetizzano, si alienano, si confondono, tacciono. Salvo poi ricomparire qualche giorno dopo, pronti a lamentarsi nuovamente: “Hai visto Renzi? Hai sentito che ha fatto la Boschi? Vergogna!”
La vera vergogna è la mancanza di pudore culturale e civile dei cosiddetti succitati “indecenti”: riguardiamoci da chi non è andato a votare, diffidiamo da chi nasconde dentro sé un latente animo squisitamente “borghese” (in senso pasoliniano).
Se tali sono i presupposti, è bene prepararsi al peggio per il prossimo referendum autunnale sulla Costituzione. Sia gli “indecenti” che il il “pantapartito” di Renzi ostacoleranno nuovamente il normale processo democratico referendario. Anzi, sarà persino curioso vedere quanti e quali personaggi intellettuali si schiereranno a favore del “si” e chi del “no”. Già Benigni (che è bene ormai ricordarlo solo ai fasti tempi con Troisi) ha espresso la volontà di votare a favore della (schi)forma. Il che è tutto dire.
Del resto, non vi sono più i “girotondi” di una volta. Eppure ne avremmo tutti bisogno. Avremmo bisogno di intellettuali interessati al solo bene pubblico, quello vero, e non quello privato, fascistizzato ed oligarchico. Purtroppo siamo in Italia. Gli “indecenti” si sprecano, gli ignavi si moltiplicano. La democrazia muore. Poco a poco.