Webeti e satira: (a)critici allo sbaraglio

Una cosa è certa: gli italiani con la satira non hanno un buon rapporto. Anzi, nel peggiore dei casi, non si sono neanche presentati. L’ultimo episodio che ruota attorno al drammatico terremoto di Amatrice e la relativa vignetta dei vignettisti di Charlie Hebdo ne è la conferma.
Indignazione pura, sfrenata e a buon mercato. Sopratutto nei social, giacché nella vita reale pare conti più il matrimonio della figlia (quasi sconosciuta) di Al Bano Carrisi.
Il recente caso Charlie Hebdo è testimone di alcune piccole conferme: la prima, e più evidente, è il fatto che gli stessi italiani, sino a qualche mese fa solidali con la redazione francese, hanno voltato loro le spalle alla prima, prevedibile, pretestuosa, occasione.
Tutto ciò non è stato altro che una lapalissiana dimostrazione di quanto poco abbiano compreso non soltanto della satira in senso stretto, ma sopratutto dell’uso dei social. Il paradigma è sempre lo stesso: gli webeti (termine coniato genialmente da Enrico Mentana) seguono le mode del momento, senza ragione né capirne i motivi. Quindi l’hashtag #JeSuisCharlie, le foto profilo modificate con la bandiera francese, non sono altro che conformismo al branco del webetismo. Tutto qui.
La seconda conferma è strettamente collegata alla prima: gli italiani non comprendono la satira. Qualora l’avrebbero compresa da sempre, si sarebbero indignati per le epurazioni dei tanti Daniele Luttazzi, Corrado e Sabina Guzzanti, e via discorrendo. Anche in quel caso, però, hanno seguito la moda del momento (tuttora in voga, eccome): dell’indifferenza omologata.
Terza ed ultima (ma con un analisi più approfondita potrebbero emergerne delle altre) conferma: gli italiani (webeti compresi) nella migliore delle ipotesi leggono poco, nella peggiore non leggono affatto. Magari nei social sono anche soliti intervenire, sopratutto su argomenti di natura politica (vedi terremoto, come la vignetta in questione), nella vita reale invece sono quelli del “non mi informo più di politica, tanto son tutti uguali”. Ecco, tal progenie gasparriana, se avesse letto, se si fosse informata in maniera sana e costruttiva, avrebbe notato che primo fra tutti ad affrontare in maniera analoga il caso Amatrice è stato il giovane e talentuoso vignettista del Fatto Quotidiano, Natangelo. Eppure così non è stato, poiché poca logica è presente anche nel loro modo di manifestarsi ed intervenire. Perché, oltretutto, gli italiani seguono ancora i palinsesti televisivi ed i rimandi di notizie sui grandi giornali, o giornalacci (dipende dal tipo, ma sopratutto dei finanziatori).
Emblematico è stata, a tal proposito, la risposta vignettistica della redazione di Charlie Hebdo che pare voglia dire senza troppe sottigliezze sottintese: “Cari italiani, se non avete compreso il senso satirico proviamo a spiegarvelo noi”. Da qui la frase “Non è Charlie Hebdo a costruire le vostre case, ma la Mafia”. Come se non si sapesse che l’edilizia italiana è in mano da decenni e più alla criminalità organizzata, come se non si sapesse (anche solo a livello inconscio) che la realtà drammatica di Amatrice ed altri disastri come l’Aquila non siano in gran parte dovuti all’incuria corruttiva dell’uomo.  Eh già, son questi gli effetti di ventanni di berlusconismo (ma anche dei convinti sinistroidi degli ultimi anni) e di digiuno culturale: inattività cerebrale costante.
Quindi, cari italiani webeti, la satira se non è pungente, graffiante, violenta, scomoda, non è satira. Invece di denunciare quel che non comprendete, denunciate la mala politica interna. Ammesso che facciate ancora differenza fra “bene” e “male”.
Però intanto si parla del matrimonio della figlia di Al Bano, della cellulite di Maria Elena Boschi, dell’ultimo modello di IPhone. In fondo, la Grecia non sembra poi più così lontana.

Marco Marangio

giornalista pubblicista, dottore in Lettere Moderne, amministratore del blog Prima Pagina, autore di "Percorsi" (Albatros Il Filo, 2010) e di "Matteo Renzi - La parola sono io (Effigi editore, 2018)

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