Dagli anni di piombo al caso Cucchi: “la macchinazione” del silenzio

L’Italia ha diverse zone buie. Forse fin troppe. Si potrebbe partire dai proverbiali “anni di piombo”, durante i quali gli attentati stragisti hanno minato la stabilità politica e civile della Nazione. Attentati controllati, mirati e diretti ad arte anche da alcuni esponenti politici dell’epoca. Si potrebbe poi passare all’omicidio di Pier Paolo Pasolini, strettamente legato alla banda della Magliana ed al filo stragista (il film “La macchinazione” di David Grieco ne è un prezioso e raro testimone). In epoca più recente, invece, si potrebbe citare la loggia massonica P2 e le sue successive incarnazioni, per le quali il maestro venerabile Licio Gelli ha portato con sé nella tomba segreti ed omissioni.
Si potrebbe citare la trattativa Stato – Mafia e gli omicidi stragisti di Falcone e Borsellino. In epoca più contemporanea, infine, si possono enunciare un paio di casi simili fra loro, giacché abuso di potere militare e violenza sui soggetti privati e civili ne sono il comun denominatore: il caso della scuola Diaz e l’omicidio di Stefano Cucchi. Sia chiaro, vi sarebbero altri esempi di cronaca nera che rispondono a queste caratteristiche, come il quasi dissimile caso Regeni. Qui riassumo semplicemente i più emblematici. Ed è proprio di qualche giorno fa la notizia, lieta, dell’accusa di omicidio preterintenzionale notificata ai tre carabinieri Alessio Di Bernardo, Raffaele D’Alessandro e Francesco Tedesco.
Il percorso è ancora lungo, così come ci ha tenuto a scrivere su facebook la sorella di Stefano, Ilaria. Se non altro, la Giustizia ha potuto operare in modo libero, staccandosi dalle catene che proprio questo caso ha visto costruirsi attorno a sé nel corso degli anni. Dall’inquinamento di prove, sino ad omissioni e false testimonianze. “La macchinazione” ordita ai danni del defunto Stefano e della sua famiglia, è parsa sempre volta a coprire membri delle forze dell’Ordine dei più diversi gradi. Il silenzio ammorbato nelle aule di Tribunale non ha fermato Ilaria Cucchi che ha lottato, resistendo strenuamente, affinché la verità potesse un giorno emergere. Assieme ad un folto gruppo di società civile, si è raggiunto un primo risultato. Eppure, nonostante tutto, l’obiettivo finale è ben lungi dal concludersi nel breve termine di tempo. Quel che dovrebbe comprendere gran parte del popolo italiano, è il riappropriarsi del diritto di “conoscenza” dei grandi misteri italiani, i cui più noti sono sopra riportati. Se alcune cortine di fumo (che rispondono al nome di corruzione, malaffare, collusione con la criminalità organizzata) ammorbano sale di Tribunale, palchi politici, salotti post borghesi, è dovuto all’inespressiva volontà dei cittadini di disinteressarsi a questo tipo di tematiche. Quel che duole, è che affinché qualche coscienza critica e morale si destino, deve necessariamente esservi un corpo esanime di un italiano che paga il silenzio di tutti gli altri. Lì è dove “la macchinazione” nasce, cresce, prospera.

Marco Marangio

giornalista pubblicista, dottore in Lettere Moderne, amministratore del blog Prima Pagina, autore di "Percorsi" (Albatros Il Filo, 2010) e di "Matteo Renzi - La parola sono io (Effigi editore, 2018)

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