“Giornata della memoria”: il silenzio dell’asservimento

C’è una retorica quasi imbarazzante alla base della “giornata della memoria”. Sono ormai anni, che il 27 gennaio viene commemorata la shoah eppure senza alcuna forma ed essenza reali di “mea culpa”. Ciò che è alla base di questa proverbiale mancanza, credo sia un fattore culturale. Nel corso del tempo, si è talmente tanto tralasciato questo vitale aspetto che dagli istituti scolastici (canale principale che dovrebbe garantire la crescita intellettuale delle nuove menti) altro non è fuoriuscito se non uno sterile stereotipo. Il 27 gennaio è divenuta una data come le altre. Come un 25 aprile, durante il quale giungono puntuali le esternazioni politiche del “non commemoro perché non sono partigiano”, anche la rimembranza dei campi di sterminio rischia di cadere nell’oblio della banalità.
Giacché bisognerebbe ricordare i campi di Auschwitz e Birkenau, sarebbe altrettanto fondamentale partire da un fattore culturale: il silenzio dell’asservimento.
Checché se ne dica, il nazionalsocialismo, il nazismo, il fascismo, e rispettivi leader quali Adolf Hitler e Benito Mussolini sono partiti grazie (anche) al favore del popolo. Lo stesso popolo che, attraverso gli organi istituzionali di riferimento, ha appoggiato in modo più che esplicito, le prese di posizione più oscure e drammatiche della storia.
Il consenso, l’asservimento nel compiere determinate azioni sono state le “armi” di un popolo soggiogato. Come quello italiano. Ho di recente rivisto la prima pagina de “La Stampa” (11 novembre 1938) a riguardo della firma di Mussolini sulle leggi razziali al fine di adempiere al destino voluto dalla Germania nazista. Uno degli esempi più lampanti, del discorso sinora fatto, può essere proprio il giornalismo. Come altre realtà, anche l’informazione ha avuto un ruolo chiave nelle posizioni a favore degli abomini, così come ha avuto un ruolo chiave il Vaticano e gli organi a lui connessi. Ad oggi, sopratutto a causa dell’attualità in cui viviamo, è utile partire dal comportamento culturale e dal senso civico/morale di ognuno. E’ fin troppo facile ricordare le vittime. Commemorare i defunti è un conto. Soffermarsi solo su tale aspetto è ben altra cosa. E’ quanto mai necessario ripercorrere a ritroso ogni aspetto della storia. Le colpe dell’umanità si misurano sì con le azioni, ma anche con gli assenzi silenziosi denominatori comuni di abietta complicità. E’ inutile stupirsi quando si sente parlare, ancora oggi, di “muri”. Ogni qual volta taciamo dinanzi ad abusi di potere o a manifestazioni di atteggiamenti politici contro l’umanità stessa, contribuiamo a mettere un altro mattone su quel “muro” che, presto o tardi, ci meraviglieremo di quanto esso sarà invalicabile. Ma sarà troppo tardi. E’ bene, ogni tanto, riascoltare “Another brick in the wall” (The Wall, Pink Floyd, 1979) e tendere l’orecchio sui silenzi più assordanti. I Trump del domani sono già qui. Ma quella è, decisamente, un’altra storia.

Marco Marangio

giornalista pubblicista, dottore in Lettere Moderne, amministratore del blog Prima Pagina, autore di "Percorsi" (Albatros Il Filo, 2010) e di "Matteo Renzi - La parola sono io (Effigi editore, 2018)

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