La vicenda che ruota attorno all’assoluzione di Ignazio Marino racchiude quella che più comunemente viene definita come “iella”. Si perché, nonostante sia per lui una “buona novella” (quella dell’assoluzione sul famoso e contestato caso degli scontrini), il danno lo ha ricevuto e subìto dal fuoco amico, prima che dai Cinque Stelle.
Difatti, chi attribuisce la debacle di Ignazio Marino quale sindaco di Roma ad opera esclusiva dei pentastellati, sbaglia. Almeno in parte.
Il M5S fece all’epoca ciò che avrebbe dovuto fare: l’opposizione.
Ignazio Marino è decaduto da primo cittadino di Roma per mano del Partito Democratico stesso. Per essere più precisi, per mano di Matteo Renzi.
Forse la memoria è un po’ sbiadita, eppure fu proprio Matteo Orfini (lo sceriffo di Renzi) ad andare dal notaio e notificare le dimissioni di Ignazio Marino firmate da ben 26 consiglieri del Partito Democratico.
Sarebbe giusto e sacrosanto scindere i casi: un conto sono gli scontrini, un altro caso è la mala gestione di Roma per mano di Marino stesso, un altro conto ancora è stata la sfiducia ed il tradimento da parte del PD.
Tattica, quest’ultima, che Renzi ha usato anche con Enrico Letta (#Enricostaisereno vi ricorda nulla?).
Ad oggi l’immagine politica di Ignazio Marino appare irrecuperabile. Iella, sfiga, sfortuna nel credere che il Partito Democratico a trazione renziana fosse realmente democratico.