ITE NICOLA VALZANI: UN INCONTRO PER RICORDARE I DIRITTI DELLE DONNE

“DONNA: DA MADRE A GUERRIERA”

 

di GIULIA CARRIERI

SAN PIETRO VERNOTICO – L’ auditorium dell’ITE “N. Valzani” di San Pietro Vernotico è stato teatro di una conferenza organizzata dal preside, Pasquale Sanasi, riguardante la figura femminile vista nelle culture non occidentali e ciò che alcune tradizioni, ad essa collegate, comportano.
La conferenza, tenuta dalla responsabile dell’ARCI di Lecce, Anna Caputo, si è aperta con la canzone “Clandestino” di Manu Chao, canzone il cui titolo fa da cornice al disagio di migliaia di persone che fuggono, non sempre nel più lecito dei modi (spesso appunto clandestinamente), da paesi poveri, dalla guerra, dalle persecuzioni religiose, ma soprattutto di genere. Questo aspetto in particolare è tanto rilevante quanto tristemente ignorato, ma non per questo meno tragico. Doveroso sottolineare come l’istituto sanpietrano collabori con l’Arci di Lecce dal 2009. Quest’ente è attivo sul territorio per l’inserimento degli immigrati e offre loro un supporto psico-sociale, perché incentiva l’interazione culturale fra stranieri e italiani e affrontano tutti i problemi che immigrate in un luogo straniero comporta.
Sono fortunatamente sempre di più le donne, principalmente africane, indiane e asiatiche che fuggono da un contesto sociale che le odia, le riduce ad oggetti, le priva della dignità e della facoltà di scegliere. Un contesto che, sostanzialmente, le priva dei più elementari diritti.
Durante la conferenza è stato affrontato il tema del genocidio, supportati dalla visione di un video in lingua inglese, dal titolo “it’s a girl!” che parla di quanto avviene quotidianamente in India e Cina. All’appello mancano ogni anno ben duecentomila bambine nate e poi sparite. Un dato abbastanza rilevante se si calcola che in America, mediamente, ne nascono esattamente tante ogni anno.
In Oriente le bambine normalmente vengono soppresse, alla stregua di animali, appena nate con un velo sul viso finchè non soffocano; molte volte vengono abbandonate sulle rive di fiumi, arrotolate in veli di stoffa e abbandonate in scatole di cartone nel bel mezzo della fitta boscaglia, in luoghi ostili dove la presenza umana è rara. Le donne, inoltre, sono obbligate a fare il test per determinare il sesso del bambino e costrette, anche attraverso torture, ad abortire nel caso la nascitura fosse una femmina e nel caso in cui non dovesse cedere. In qualsiasi caso le neonate vengono comunque uccise perché, stando al Birth Control Policy, è la legge ad imporlo.
Da ciò si evince come, in queste realtà, il rispetto per la vita non sia tutelato, poiché essa viene “immolata” ad un assurdo assetto politico, economico e sociale.
In seguito è stata presa visione di un ulteriore clip video contenente la testimonianza di una donna sulla pratica dell’infibulazione. Per le donne africane, essere tali vuol dire essere condannate ad un trauma il cui fardello peserà sulle loro spalle per sempre ed anche sulle spalle di figlie, nipoti e le future generazioni. Spesso e volentieri, questa pratica si svolge in luoghi lontani dal villaggio affinché non si odano le grida delle piccole vittime che vengono legate e deturpate brutalmente in tenera età.
A tal proposito si è espressa Maritù, una ragazza enormemente provata dalla vita, che ha subito la mutilazione all’età di sei anni, e ne parla visibilmente commossa, con la voce tremante, perchè il ricordo di quel giorno è indelebile ed è causa per lei di continua sofferenza.
Così come ha raccontato, Maritù ha intrapreso il suo “viaggio della speranza” quando rischiava di perdere la sua seconda figlia, quindi si è incamminata in balia dell’incertezza più totale. Un amico le ha prenotato un volo, senza sapere neanche dove fosse diretta. Arrivata a Malpensa, completamente spaesata e senza la minima idea di dove fosse, le vengono rubati i documenti e il poco denaro che aveva con sè. Si è rivolta alla polizia italiana che, attraverso un interprete francese, ha saputo esaminare il suo caso, accertarne la ‘buona fede’, e indirizzarla presso centri che prestassero aiuto a chi, come lei, fosse in difficoltà. Per un breve periodo è stata a Varese prima e poi a Gorizia, è stata sei mesi a Caltanissetta e ora si trova a Trepuzzi. Maritù si è trovata a confrontarsi con una lingua, cultura e un popolo completamente differenti dal suo; le difficotà sono state tante e altrettante continueranno ad essercene ma ora, grazie al progetto “arci”, si sta indirizzando verso una nuova vita, una vita dignitosa ed autonoma, attraverso il lavoro, lo studio della lingua italiana e l’interazione culturale con i suoi concittadini.
Maritù ha avuto il coraggio di cambiare la sua vita, lottando con tutta la forza interiore e determinazione che ha dimostrato di avere, sebbene tutto ciò abbia comportato l’impossibilità di tornare in Africa, dal figlio e dal marito, per preservare sua figlia da un futuro fatto di dolore, violenza e noncuranza per la sua entità di donna.
Data la ricorrenza odierna, se si parla di donna il connubio con la parola “emancipazione” viene pressochè spontaneo, ma attraverso queste testimonianze si può notare come quest’emancipazione sia una un’utopia lontana per queste civiltà.

Marco Marangio

giornalista pubblicista, dottore in Lettere Moderne, amministratore del blog Prima Pagina, autore di "Percorsi" (Albatros Il Filo, 2010) e di "Matteo Renzi - La parola sono io (Effigi editore, 2018)

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