Genere: Thriller, Horror
Attori: Elle Fanning, Abbey Lee, Jena Malone, Alessandro Nivola
Regista: Nicolas Winding Refn
Anno: 2016
Durata: 118 min
Musiche: Cliff Martinez
Voto: ***1/2
Jesse (Elle Fanning), una giovanissima aspirante modella, armata solo della sua bellezza si trasferisce a Los Angeles. Jesse si fa notare e diviene presto la musa ispiratrice di un grande stilista (Alessandro Nivola); inizia così il suo sogno ma allo stesso tempo il suo incubo.
Dopo averci deliziato con i lungometraggi “Bronson” e “Solo Dio perdona”, Nicolas Winding Refn torna alla regia con “The Neon Demon”, un film sul mondo della moda e sulla bellezza. Il regista danese dimostra ancora una volta il suo animo ribelle contro quel cinema radical chic e la sua traboccante cultura cinematografica che spazia dal cinema d’autore agli horror dell’age d’or italiana.
Inquadrature kubrickiane, luci e fotografia che ricordano il compianto Mario Bava e che si riallacciano per induzione a “Suspiria” di Dario Argento.
L’industria della moda fabbrica corpi, incide nuove tavole della legge sulle quali sono scolpiti nuovi dogmi sulla bellezza esteriore; dogmi e principi apodittici di cui noi tutti ci assuefacciamo e ricerchiamo con la stessa arguzia e sete dello zombi romeriano che brama carne fresca.
Il film parla proprio di questo: carne fresca da macello.
Ma chi definisce questi canoni di bellezza? Di fatto tali schemi ci capeggiano e ci modellano a “loro immagine e somiglianza”.
Nell’universo della moda valgono le stesse regole del capitalismo, il corpo diviene di fatto merce e oggetto di consumo, un mondo folle dove vige la regola del più forte e dove gli esseri umani si divorano letteralmente l’un l’altro per scalare la montagna del successo. Impossibile non rievocare a tal proposito “Society” il capolavoro del maestro dell’horror Brian Yuzna, dove la classe borghese divorava e assorbiva, in un’orgia mondana di cannibali, l’uomo comune, l’eterno perdente: una potente immagine metaforica di puro terrore.
The Neon Demon partecipò all’ultimo Festival di Cannes e venne da molti criticato, destò scalpore per le sue immagini e le sue note orrorifiche.
Musiche di Cliff Martinez che aveva militato con l’avanguardista musicale per eccellenza “Captain Beefheart” e che ci regala una colonna sonora elettronica, elegante e sublime.
La strada che il film percorre non porta tuttavia a disprezzare il corpo e l’estetica, se così fosse sarebbe il tutto un enorme cortocircuito: si pensi ad ogni meticolosa inquadratura e alla messa in scena. Non dovremmo dunque essere gli abitanti del retromondo, vivere al di là di noi stessi, la bellezza è concreta ma, cosa più importante, è adesso. Coloro che disprezzano il corpo e la materia per una venerazione spirituale sono schiavi del loro “sé” che induce l’Io a pensare. L’Io pensante crea piacere e pena, ci insegna a disprezzare e apprezzare inoltre crea lo spirito come una mano della sua volontà e ciò ci rende ciechi. Il nostro “sé” pur di voler elargire il suo senso creativo in tutte le forme e trovare fatue giustificazioni si costruisce un mondo fittizio, irreale, fatto di antimateria e dove la grazia può essere raggiunta solo in un tempo futuro. Bisognerebbe dunque rivendicare e apprezzare una condizione terrena, di fondo e anticapitalistica, vivere l’attimo, ricongiungersi al corpo, alla materia, alla vita, alla terra, all’innocente bellezza della natura; un’invidia inconscia si cela nello sguardo bieco del disprezzo.