Pasolini, Salò: il piacere ed il diritto di scandalizzare

SIENA – Lo disse Pasolini durante la sua ultima intervista: “penso che scandalizzare sia un diritto, essere scandalizzati un piacere”. Tale massima pasoliniana è tutta da ricercarsi in “Salò”, l’ultimo lavoro cinematografico e sarebbe stata presente sicuramente anche in “Porno Teo Kolossal”, la pellicola solo in parte immaginata dall’autore.
Il lavoro encomiabile fatto dalla cineteca di Bologna (che da anni ripropone film storici da archivio con la rassegna “Il cinema ritrovato”) ossia il restauro in 4K del film testamento di Pasolini, ha onorato cinefili ed esperti dello scrittore di poter visionare in tutta Italia le “120 giornate di Sodoma” in tutto la sua maestosa e “scandalosa” metafora della fascistissima e grottesca borghesia della morente politica (per Pasolini anche sessualità) mussoliniana.
In quel di Siena il “Nuovo Cinema Pendola” ha permesso la proiezione della “pellicola maledetta”. Quel che è stato curioso ed a tratti quasi paradossale, sono state le reazioni di alcuna parte del pubblico. Sussurri, bisbiglii sgomenti, mani dinanzi gli occhi. A metà film due ragazze, disgustate, lasciano la sala correndo, tra imbarazzo e paura. Poco dopo la scena principale del secondo capitolo “Girone della merda” un uomo cerca di prendere cappotto e sciarpa per tentare anch’egli la fuga, ma viene fermato (ironia) dalla moglie: “non vorrai mica uscire e farmi fare una pessima figura?”. Al marito, silente e sconfitto, non resta che risedersi timidamente. Su questa scena, probabilmente, Pier Paolo Pasolini avrebbe potuto scrivere un saggio breve, un pensiero “corsaro”.
Al termine della visione, lo spettatore rispettoso, attento conoscitore di Pasolini resta in silenzio ed esce dalla sala. Non letteralmente sconvolto, ma pensieroso sulla società odierna. Perché magari la borghesia ed il potere immaginati dal poeta bolognese non sono poi così cambiati. Avranno sì mutato forma, ma l’essenza permane immutata.
Fuori dal cinema, sulla via del ritorno, si odono commenti degli spettatori: “E’ normale che nessuno quarant’anni fa voleva proiettare la pellicola.” “Hai visto che scene? Pasolini aveva superato il limite”. “Ma è così lampante: le scene perverse raffigurano la pazzia latente e nascosta di Pasolini”.
Dinanzi a questi episodi, scene e commenti, non resta ancora una volta che fare un plauso allo scrittore scomparso. Il fatto che gli spettatori (ai quali verrebbe da chiedere perché scandalizzarsi, visto che è stata loro la scelta di vedere Salò e che la stessa pellicola è nota da 40 anni per i suoi contenuti e le tematiche affrontate) abbiano reagito in tal modo non fa altro che testimoniare come l’autore abbia centrato il bersaglio. “Chi rifiuta il piacere di essere scandalizzato è un moralista, il cosiddetto moralista.” Pasolini non solo conosceva il pubblico e l’italiano dell’epoca da lui vissuta, con contraddizione e sofferta espressività, ma aveva ben compreso quanto l’italiano più comune, più borghese, non avrebbe mai rinunciato al suo “habitus”. I moralisti, per l’appunto. I moralisti sono ancora qui, intrisi di falso perbenismo e bigottagine democristiana. Per questo Pier Paolo Pasolini è un autore che, tutt’ora, l’Italia non merita.

Marco Marangio

giornalista pubblicista, dottore in Lettere Moderne, amministratore del blog Prima Pagina, autore di "Percorsi" (Albatros Il Filo, 2010) e di "Matteo Renzi - La parola sono io (Effigi editore, 2018)

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