Caso Raggi – Muraro: silenzio in Sala

Bufera quasi cessata sul M5S. Dopo giorni di speculazioni, attese e disattese, supercazzole giornalistiche e non, Virginia Raggi ha dovuto attendere la ridiscesa di Grillo per poter respirare un attimo politico di tranquillità. Precaria.  Sia chiara una cosa: dal caso Muraro si è nuovamente confermato che, in caso di avvisi di iscrizioni ai registri di indagati e comunicazioni interne fra direttori vari, che l’organizzazione interna del Movimento è tutt’altro che pronta a reagire con prontezza e con una uniformità di pensiero fra i vari livelli della struttura che essi stessi si sono dati. Se il caso Quarto avesse lasciato un margine di insegnamento, il caso Muraro – Raggi non avrebbe generato quella reazione a catena innescata, sì per iniziale negligenza dei vertici pentastellati, ma perpetuata dal sistema dei media italiani.
La colpa è stata, volendo riassumere drasticamente, la silente ed imbarazzante volontà nel nascondere dal 18 luglio il fatto che la Muraro fosse iscritta nel registro degli indagati per presunti reati ambientali. La notizia è stata sottaciuta fin troppo: partendo dalla sindaco Raggi, per poi passare ai facenti parte del direttorio (come Di Maio).
Il caso è esploso, giustamente, subito e si è protratto senza sosta. Tutto ciò ha fatto emergere diversi aspetti, già latenti ma adesso più evidenti.

1) In primis l’atteggiamento “sine ratio” di una fetta (per fortuna minima) degli elettori del Movimento quelli che il popolo del web ha anni definito “talebani”: integerrimi, schierati unicamente con il blog di Beppe Grillo. Qualsiasi cosa dicano/facciano gli esponenti pentastellati è pura espressione evangelica. Anche quando dicono evidenti balle. Questi stessi “talebani” hanno difatti lapidato sul web, unico luogo nel quale intervengono, il direttore del fattoquotidiano.it Peter Gomez reo di aver espresso una sua personale opinione ossia che la neo sindaco Raggi avrebbe dovuto chiedere scusa agli elettori per aver mentito sull’assessore Muraro. E’ stato infatti un fiorire di ammonimenti del tipo “chi sei tu per giudicare”, “a chiedere scusa devi essere tu”, “chi ti da il permesso di parlare”, come se un giornalista libero con Gomez debba chiedere carta bianca a Grillo od alla Casaleggio Associati per poter fare il proprio dovere. Peccato che gli stessi talebani siano stati smentiti qualche ora dopo dalla senatrice Barbara Lezzi che, in un post su facebook, aveva fatto il “mea culpa” e contestualmente chiesto scusa agli elettori romani ed ai cittadini tutti. Ci si chiede che fine abbiano fatto questi commentatori infallibili dinanzi alla dichiarazione della loro esponente più accreditata. Fortuna che non tutti gli elettori pentastellati siano così.

2) Come già accennato prima, i vertici M5S avrebbero dovuto fare tesoro delle esperienze di Quarto, Parma e Livorno. Benché tutti siano differenti per natura e successivo sviluppo dei casi, vi è un unico comun denominatore: la base doveva reagire con tempestività e unione. Roma per il M5S, nei primi mesi, avrebbe dovuto rappresentare il banco di prova non tanto di saper amministrare (quello si verificherà ben oltre i primi cinque anni), quanto di avere una base sinergica, granitica ed inattacabile. Invece: Muraro ha mentito alla stampa pur sapendo di essere indagata, Di Maio ha sottovaluto le mail pervenutegli a riguardo del caso, il mini direttorio, maxi direttorio hanno fatto a gara per chi spettava l’ultima parola. Tant’è che è dovuto re intervenire Grillo per porre fine alle polemiche e sbloccare la situazione ormai fin troppo impantanata. Male che sia dovuto intervenire il garante genovese, visto e considerato che Virginia Raggi è il sindaco, democraticamente eletto, e che da sola avrebbe dovuto agire e reagire.

3) Se da un lato la stampa ha fatto bene a parlare degli errori romani del Movimento, dall’altro non è bastato molto acché il sistema editoriale italiano montasse un vero e proprio caso giudiziario, laddove era semplicemente mancanza di chiarezza e comunicazione nei riguardi dei cittadini. Come ha ricordato Marco Travaglio, non è stato un delitto ma ci sono errori che fanno ancora più danno. Inutile dire quanto un certo giornalismo, già assoggettato ai poteri forti, ha approfittato senza mezze misure della debolezza del sindaco Raggi narrando il tutto non solo come la fine dell’ amministrazione comunale ma come la fine del Movimento stesso.

Se la stampa italiana avesse attaccato negli anni precedenti l’intero sistema politico con la stessa veemenza con la quale oggi viene giudicato e criticato ogni singolo atto del M5S probabilmente oggi l’Italia sarebbe un Paese migliore.
Prova recente ne è il caso Sala, nuovo sindaco di Milano. Egli, già indagato per aver dichiarato il falso riguardo a società e case di sua proprietà, non è stato vittima di alcun accanimento della stampa italiana. Anzi, il tutto è passato quasi inosservato. Questo è il paradigma del giornalismo italiano, finché esso sarà controllato per il 90% da partiti, banche ed altre lobby.
Vero è, infine, che se tutti i politici dovessero dimettersi per le tutte bugie pronunciate negli anni, ad oggi il Parlamento italiano sarebbe vuoto. Allora sì, che il silenzio sarebbe piacevole.

Marco Marangio

giornalista pubblicista, dottore in Lettere Moderne, amministratore del blog Prima Pagina, autore di "Percorsi" (Albatros Il Filo, 2010) e di "Matteo Renzi - La parola sono io (Effigi editore, 2018)

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