C’eravamo tanto Amato: dal Colle alla fiction

Un tecnocrate, un ottimo professionista che lavora a contratto“. Così parlò Bettino su Amato. Il gioco dei troni al Quirinale è partito da poco ma sembra lungi dal concludersi. Tra le indecisioni partitiche, tra i segreti del Nazareno (non quelli inesistenti  che ha paventato berlusconiamente Renzi con il suo indecoroso tweet contro i talkshow), tra le lotte di casta intestine un unico e solo nome parrebbe onnipresente nelle preferenze al Colle: quello di Giuliano Amato. Mentre la crisi e la sfiducia nei confronti della politica si fanno più pressanti, mentre il popolo chiede un nome svincolato dalle logiche partitiche gli insigni statisti in questi giorni hanno più volte  sussurrato il suo nome. Questa è l’ennesima conferma di quanto la politica, (in)propriamente detta, è in totale disarmonia con il volere del popolo, artatamente allontanato anni luce da quello Stato che dovrebbe ascoltare e non imporre che dovrebbe assecondare e non comandare con presunzione. La scelta di Giancarlo Magalli dei lettori de Il Fatto Quotiano, benché peregrina ed ironica, è testimonianza di quanto il popolo sia ormai sfiancato dalle continue repliche degli stessi scenari politico istituzionali e chiedono a gran voce allo Stato, per una volta, di andare controtendenza benché ciò comporterebbe andare contro se stesso. E’ probabile che sia proprio questo il motivo per il quale il paradigma Giuliano Amato, divenuto spauracchio e simbolo dei giochi del potere e delle poltrone, si ripropone quale diabolico e stantìo archetipo. L’Amato nella sua vita è stato: Ministro del Tesoro, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, padre fondatore del PD, presidente dell’Antitrust (1994 – 1997), Ministro degli Interni financo presidente della fondazione Treccani. Questo solo per citare parzialmente le cariche ricoperte dal pensionato più ricco d’Italia (si parla di circa mille euro al giorno). Alcune assonanze rimandano al padre Pizarro di Corrado Guzzanti, fittizio presidente dello Ior: “diciamo che dove ce sta un buco noi se ‘nfilamo”. In questa fiction continua e perpetua, Amato rappresenta forse l’emeblematico esempio del villain per eccellenza, la nemesi di un popolo stremato dalle losche logiche che tirano le fila del sistema. Fuor di metafora, o quasi, si dovrebbe comprendere quanto i preconfezionati uomini logorati dal potere dovrebbero fare un passo indietro visto che è il loro stesso popolo a richiederlo. Fiction o no, l’Italia è comunque sempre più in preda alla finzione sceneggiaturale. Poi chissà, magari durante gli sviluppi di questa fine “stagione napolitana” noteremo che vi saranno personaggi che bucheranno lo schermo più dei loro predecessori. L’Italia, si sa, ha bisogno di un colpo di scena…ben assestato.

Marco Marangio

giornalista pubblicista, dottore in Lettere Moderne, amministratore del blog Prima Pagina, autore di "Percorsi" (Albatros Il Filo, 2010) e di "Matteo Renzi - La parola sono io (Effigi editore, 2018)

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