Nasce il governo Conte: chi ha vinto e chi ha perso

Il dado è tratto. Dopo più di ben ottanta giorni dal giorno delle fatidiche elezioni dello scorso 4 marzo, è stata finalmente trovata la formazione di un governo politico alla guida del paese. Fra consultazioni chiacchierate, movimenti politici forsennati, scomparsa di vecchi leader e nascita di nuovi, pare che la terza Repubblica stia infine per nascere. Non prematuramente, anzi.
Sono stati i mesi più discussi della politica italiana degli ultimi vent’anni e sicuramente, in futuro, verranno studiati dagli storici in virtù del radicale cambio di rotta circa leadership e compagine partitica della vecchia guardia.
Con il passo indietro di Cottarelli si è assistito ad un definitivo punto di non ritorno: torna il professore Conte, “l’avvocato difensore del popolo italiano”. Al netto dei fatti fin qui verificatisi, occorrerebbe al contempo fermarsi e tirare le somme: chi ha vinto, chi ha perso in questo continuo “botta e risposta” fra i leader e Capo dello Stato?
Partiamo da quest’ultimo, giacché è stato il più discusso degli ultimi giorni.
Sergio Mattarella ha condotto il gioco in modo moderato e ponderato. Almeno fino a domenica 27 maggio, giorno in cui ha deciso in modo del tutto inaspettato di porre un veto inequivocabile a Savona come ministro dell’Economia. Una strada senza uscita, quella prospettata da Mattarella che lo ha costretto ad incaricare a stretto giro un altro elemento tecnico come Carlo Cottarelli, il cui compito era quello di formare il proverbiale «governo del Presidente». Ha sbagliato, Sergio Mattarella, nel negare il ministero dell’Economia a Savona? Decisamente sì, poiché la sua potenziale nomina è stata valutata non per la sua qualità, quanto piuttosto per la propria ideologia. Se Mattarella avesse espresso messo un veto che fosse legato alla prescrizione sul caso Impregilo, non vi sarebbe stato null’altro da aggiungere. Ha tanto sbagliato Mattarella da essere costretto a fare un passo di lato ed accettare lo stesso Savona nella squadra, ma come ministro delle Politiche comunitarie. Episodio simile al caso Scalfaro – Previti, in cui l’allora avvocato di Silvio Berlusconi venne destinato dal Capo dello Stato dalla Giustizia alla Difesa.
D’altronde era fatto alquanto lapalissiano che un governo Cottarelli non sarebbe mai nato, considerate le posizioni dei partiti di maggioranza che non ne avrebbe mai votato la fiducia.
Luigi Di Maio, di controcanto, è rimasto scottato dalla vicenda Savona. Per quanto essa abbia rappresentato un precedente unico nella storia della Repubblica italiana, parlare con rabbia e livore di «impeachment» non ha di certo giovato alla sua figura. Benché abbia condotto un’ottima partita fino al 4 marzo dicendo categoricamente più di un «no» a Silvio Berlusconi, il leader pentastellato ha mostrato un forte ed evidente momento di debolezza. Un malus, quest’ultimo, che nei giochi politici viene caramente pagato a suon di leadership ed il richiamo all’ordine da parte di Beppe Grillo non gli ha di certo giovato.
Verosimilmente chi ne esce rafforzato è il leader della Lega Matteo Salvini. Vero unico «rottamatore» alle porte di questa nascente terza Repubblica, davanti al caso Savona ha mantenuto un profilo più ragionato. Scosso quanto basta, ha subito preso le distanze dalla richiesta di «impeachment» evocata da Di Maio utilizzando il caso Savona come scudo di maggiore difesa poiché era nome avanzato dalla Lega stessa. Non solo. Salvini, nell’arco, di questi ottanta giorni ha aumentato i propri consensi a tal punto da poter ipotizzare in futuro di riuscire a sganciare la propria zavorra politica più pesante: «Forza Italia». Non è difatti da escludere che il leader del Carroccio possa, d’ora in avanti, gareggiare ad armi pari con il Movimento 5 Stelle in termini di consensi.
Quanto al ruolo del professore Conte è un gioco tutto da vedere. Quel che è certo è l’assoluta novità nello scenario storico e politico italiano. Per il governo nascente sarà arduo non solo tenere testa ai tanti avversari che siedono in Parlamento e che appartengono alla vecchia nomenclatura partitica, ma soprattutto tenere fede al programma presentato giorni fa al popolo italiano. Vero è che, dopo anni di gestione tecnica (da Bersani, a Letta, da Letta a Renzi, da Renzi a Gentiloni), nel bene e nel male si avvierà un governo che è espressione del volere popolare: «da democrazia, nasce democrazia».

Marco Marangio

giornalista pubblicista, dottore in Lettere Moderne, amministratore del blog Prima Pagina, autore di "Percorsi" (Albatros Il Filo, 2010) e di "Matteo Renzi - La parola sono io (Effigi editore, 2018)

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