Si o No. Con questa semplice dicotomia, gli italiani sceglieranno il prossimo futuro della Costituzione. La campagna che si è protratta sino ad oggi è stata forse la più agguerrita, controversa, discussa degli ultimi decenni. A buona ragione. Per quanto si possa essere contrari o favorevoli alla riforma, non si può certo negare che il fronte del No è stato l’effetto di quella “causa” firmata da Boschi e Verdini.
Ciononostante, solo poche ore separano l’Italia dal proprio destino che, mai come ora, è apparsa tanto divisa e lacerata (oltre che nella politica) sopratutto nell’opinione pubblica. Proprio quest’ultima sarà chiamata ad esprimersi a riguardo.
Com’è apparsa sinora?
Qualora ci si dovesse attenere ai sondaggi, (fin quando è stato possibile renderli noti) il No è in netto vantaggio sul Si. Il distacco non è eccessivo, ma c’è. Fra i due fronti esistono, però, i cosiddetti “indecisi”. Coloro i quali non hanno una visione chiara sulla materia referendaria saranno l’ago della bilancia. Quindi saranno costoro i primi a mettere in discussione l’indiscusso (almeno sino a prova di smentita) vantaggio del NO. Per questo è doveroso riflettere su almeno cinque punti per i quali vi sono delle ragionevoli possibilità che vinca il fronte del SI:
1) Gli indecisi: ne abbiamo discusso finora. Sono la percentuale di congiunzione fra Si e No. La storia italiana ci ha insegnato che fin troppe volte il popolo, benché perplesso e sfiduciato, ha sempre avuto una propensione alla sudditanza nei confronti della classe dirigente. E’ più semplice accodarsi al Si, in tal caso, piuttosto che comprendere le ragioni del No per paura di sfociare nel fantomatico baratro paventato da Renzi;
2) I sondaggi non hanno sempre trovato riscontro oggettivo. Le elezioni americane ce lo hanno ricordato. Quello che i sondaggi non dicono è la parzialità con quale vengono effettuati. Non solo. Vi sono elettori “invisibili” che tendono a cambiare posizione in modo fin troppo rapido e gli italiani sono davvero abili nel non essere intellettualmente onesti;
3) Silvio Berlusconi, qualora qualcuno se ne fosse dimenticato, è il primo firmatario di questa riforma perché già prevista nel patto del Nazareno. Chi crede che il Cavaliere abbia così tanta fiducia nel votare No, dovrebbe misurarsi con le pochissime iniziative pubbliche organizzate da Forza Italia e con il fatto che la sua stessa azienda, Mediaset, è polarizzata interamente sul Si. Stessa azienda che, in numeri di voti utili, è sicuramente più avanti degli attivisti forzisti;
4) I proverbiali “poteri forti”, divenuti un mantra durante questi mesi, sono più forti di quel che si potrebbe pensare. Le posizioni a favore del Si da Obama, per poi passare a JPMorgan sino alle profezia del Financial Times. Tale insieme testimonia la rete di banche e politiche estere, assai potenti e tanto potenti da raggiungere gli “invisibili” elettori del Si;
5) Il clientelismo è alla base della politica nostrana, da sempre. Vincenzo De Luca ne ha dato prova di recente. Il partito della Nazione renziana tiene buoni gli esponenti locali con promesse di cospicui finanziamenti economici e sindaci e consiglieri regionali, si sa, coltivano bene il proprio orto elettorale. Ora più che mai.
Vero è che tutto è da leggersi in chiave di “condizionale d’obbligo” e che qualsiasi scenario resta possibile. Non si può però tralasciare l’importanza di questo referendum, già storico ancor prima di giungere al termine. E’ vero: anche qualora dovesse vincere il Si, il 5 dicembre ci sveglieremo come sempre e nulla sarà cambiato. Eppure, fra un decennio qualcuno si potrà pentire di aver scelto la riforma del finto Senato. Sarà curioso, allora, notare come gli stessi italiani reagiranno come per Berlusconi: nessuno lo ha mai votato, però in Italia ha governato per vent’anni.