“La loro moralità, i loro princìpi, sono uno stupido scherzo. Li mollano appena cominciano i problemi. Sono bravi solo quando il mondo permette loro di esserlo. Quando le cose vanno male, queste persone ‘civili’ e ‘perbene’ si sbranano fra di loro“. In un paese consacratamente democratico, nonché votato alla più alta vocazione civile, il processo di aggregazione di una campagna elettorale dovrebbe essere il più nobile risultato della sua maturità sociale. In un paese normodotato di amore incondizionato verso il confronto costruttivo con l’avversario politico, dovrebbe vigere il sacro rispetto delle leggi non solo della legalità espressiva, ma anche del processo del confronto dialettico. Tutto ciò, vi sarebbe…ma in un paese normale. Non in quello in cui viviamo attualmente e nel quale osserviamo e tastiamo con mano le più inique ingiustizie trasformate, dagli occhi del cittadino morbosamente avvezzo a ciò, in ovvie norme del quieto vivere cittadino.
Poiché nulla vi è di morale in un paese in cui si constata questa democristiana convivenza con l’ingiustizia e l’indecenza civica.
Giacché non v’è morale in un paese in cui si avvicendano ciclicamente e senza sosta i soliti lupi navigati e consunti della politica locale; non v’è morale se, chi per decadi ha svenduto il proprio paese facendolo arrancare nella tetra fatiscenza, oggi promette di ricostruirlo;
non v’è morale in un paese in cui la borghesia dell’italietta controlla ogni angolo del tessuto sociale del suo paese erigendo ovunque “piccole patrie”;
non v’è morale in un paese in cui i giovani che rivendicavano in piazza la “questione morale” al partito del fascismo di sinistra sono gli stessi che, mesi dopo, si sono alleati con quest’ultimo svendendo i propri incoerenti ideali;
non v’è morale in un paese in cui i candidati bussano e suonano alle dimore dei privati cittadini elemosinando preferenze e violentando, in tal modo, la dignità di quegli stessi cittadini che promettono di tutelare e servire;
non v’è morale in un paese in cui un sindaco giudica le domande, critiche e pertinenti, di un giornalista;
non v’è morale in un paese in cui il candidato “uomo del popolo” ignora le domande di un giornalista senza esprimere motivo alcuno a riguardo;
non v’è morale in un paese in cui metà delle liste non presentano il proprio simbolo di partito, poiché timorose del severo giudizio che il popolo avrebbe potuto avere sul quel colore;
non v’è morale in un paese in cui si invitano pubblicamente in piazza onorevoli e parlamentari conterranei indagati, a vario titolo, per corruzione, abuso d’ufficio e peculato;
non v’è morale in un paese in cui si usa ancora il ricatto del voto di scambio;
non v’è morale in un paese in cui un partito crea ad arte un proprio sistema di perfetto clientelismo e nepotismo;
non v’è morale in un paese in cui politicanti dei più divergentemente abissali schieramenti si uniscono per spartirsi le vesti del paese che rappresentano.
Non v’è morale, qui, né ve ne sarà per le generazioni future, osservando quanto la mala politica abbia perseverato in questi decenni con il benestare di cittadini corrotti, con il loro ignavo silenzio, con il loro omicida “quieto vivere”.
V’è morale, invece, se anche tu, lettore, comprendi e condividi quanto io ho scritto. V’è morale, forse, ed ancora c’è speranza se ami la giustizia e l’onestà intellettuale. Gridale entrambe, finché puoi, prima che il compromesso e l’abuso di potere distruggano quanto di buono è rimasto.