Silvia Romano, appena liberata, è stata al centro non solo di polemiche. Queste ultime, se costruttive, sarebbero state accettabili. La ragazza, invece, è stata vittima di una ondata di insulti da quello che si potrebbe definire come “far web”. Conte, invece, l’ha giustamente difesa.
Il “far web” degli indecenti
Diciotto mesi di prigionia. Più di un anno trascorso nell’incertezza di riuscire a sopravvivere al giorno successivo. Sfuggire ai propri carcerieri, per poi tornare in Italia e ricevere una “shit storm” da parte dei connazionali del web. Ricordate quando, ad inizio pandemia e lockdown, in piena Fase 1, soprattutto gli psicologi rassicuravano che la quarantena avrebbe tirato fuori il meglio da ognuno di noi? Ecco. Ora si ha la prova provata che sbagliavano in pieno. Che l’Italia non fosse un Paese normale, era cosa nota. Eppure, giungere al punto di non avere alcun rispetto per una ragazza di 25 anni che, dopo aver visto la morte in volto per quasi due anni, viene liberata e portata in Patria è alquanto triste e mesto. In un periodo storico già difficile, si sarebbe dovuto gioire a prescindere. Senza distinzione politica alcuna.
La stima di Conte
Tanto è stato l’astio, l’odio e la ferocia manifestate che Silvia Romano è stata anche tema di domanda nell’ultima conferenza stampa di Giuseppe Conte. In occasione della presentazione del “Decreto rilancio”, un giornalista chiede al premier Conte cosa pensa delle offese rivolte a Silvia Romano. Giuseppe Conte, di tutto punto, risponde quello che un normale cittadino dovrebbe dire a riguardo: “prima di giudicare, passate voi 18 mesi in prigionia”. Chapeau.
L’ultima parola
L’ultima parola non spetta ai giornalisti. Almeno in questo caso. Spetta a Silvia. Ed è proprio lei che, tramite un messaggio su Facebook cerca di porre un freno alle inutili critiche rivoltele: «Non arrabbiatevi per difendermi: il peggio è passato, godiamoci questo momento insieme» In pratica, quello che gli italiani avrebbero dovuto fare fin dall’inizio. Invece, hanno dimostrato ancora una volta la loro pochezza umana ed intellettuale. Qualora ce ne fosse bisogno.