Venezia 74: vince Guillermo Del Toro citando Leone. L’Italia resta a guardare.

Dedico questo premio a Sergio Leone, che mi ha ispirato.” Così un grande Guillermo Del Toro chiude in bellezza il 74° Festival del Cinema di Venezia. Grande in tutti sensi, non solo fisicamente come ha sottolineato lui stesso con ironia (“Ho 52 anni e peso 110 chili”). Grande per l’eccellente filmografia che ha prodotto sinora: autoriale, sempre, anche con le pellicole più chiacchierate e sponsorizzate. Grande perché, a noi italiani, ha insegnato ed insegna ancora tutt’ora cosa significa “fare cinema” ed essere un regista di tutto rispetto. Grande perché, proprio a questo proposito, ha citato e dedicato il premio al nostro Sergio Leone cui si è ispirato per girare “The shape of water”.
In tutto questo, ovviamente, il cinema italiano resta a guardare. Prova ne è non solo la magra consolazione in termini di premi, ma soprattutto perché a citare uno dei più grandi registi nostrani sia un autore “esterno”. Che sia in contesto culturale, politico, istituzionale, il paradigma è sempre analogo: l’Italia prende lezioni, sempre. Anche quando dovrebbe essere lei stessa a darle. Nel caso del cinema autoriale del secondo dopo guerra più che mai. Dal neorealismo, sino alle pellicole leoniane. Basti pensare che Clint Eastwood è stato reso famoso grazie a Leone, senza contare che la famosa inquadratura a mezzo busto “americana” è in realtà tutta italiana poiché utilizzata per convenzione dal Nostro maestro del western.
Una lezione, quella di Venezia, che i tanti cineasti, registi e mestieranti italiani dovrebbero apprendere. Hanno dimenticato le origini. Quando va bene producono pellicole sopravvalutate e/o tranquillamente dimenticabili, quando va male producono lerciume cinematografico o si vendono direttamente al sistema hollywooddiano. Quella Hollywood nella quale avremmo dovuto “regnare” assieme ad altri. Invece siamo sudditi e servi inutili. Come in politica estera d’altronde.
Dovremmo ringraziare registi come Del Toro che valorizzano il cinema italiano del passato, così come dovremmo ringraziare gli intellettuali esteri che valorizzano Pasolini, così come dovremmo ringraziare i direttori stranieri dei musei italiani che valorizzano le nostre ricchezze artistiche meglio di quanto (non) facciamo noi.
E’ giusto prendere lezioni, anche in casa nostra? Certo, vista la condizione culturale nella quale siamo. Dovremmo invece imparare. Eppure, come ogni “alunno” arido e sprovvisto di radici culturali ben fondate siamo arroganti. E della Storia non impariamo nulla. Mai.

Marco Marangio

giornalista pubblicista, dottore in Lettere Moderne, amministratore del blog Prima Pagina, autore di "Percorsi" (Albatros Il Filo, 2010) e di "Matteo Renzi - La parola sono io (Effigi editore, 2018)

I commenti sono chiusi.