PAURA E DESIDERIO: “IL CUBO DI KUBRICK”

Genere: Guerra/Drammatico
Attori: Frank Silvera, Kenneth Harp, Virginia Leith, Paul Mazursky, Steve Coite
Regista: Stanley Kubrick
Musiche: Gerald Fried
Anno: 1953
Durata: 68 min
Voto: ***1/2

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Quattro soldati, il Tenente Corby ( Kenneth Harp), Mac ( Frank Silvera), Sydney (Paul Mazursky) e Fletcher (Steve Coite), atterrano per errore oltre le linee nemiche, così, dispersi in un bosco, tra paura e ambizioni, lottano per la sopravvivenza. Nella selva ad attenderli nemici e follia.
In molti consideravano Stanley Kubrick fortemente legato al cinema di Orson Welles, uno dei maggiori registi ed innovatori degli anni 30’ della settima arte. Tuttavia si notano enormi differenze riscontrabili da un punto di vista dell’impianto sceneggiativo: non va dimenticato infatti che entrambi, oltre ad essere registi, erano grandi autori. fearanddesire
Orson Welles tendeva a soffermarsi su determinate tematiche, rispettando una sorta di schema logico per ogni suo film. Tale “algoritmo filmico”, in parte,viene ripreso da Kubrick e reinterpretato.
La tematica della “manipolazione dell’uomo”, del potere, della corruzione sono ricorrenti in tutti i film di Welles. Kubrick racconta anche lui la natura diabolica dell’uomo, era ossessionato dalla pazzia, dalla perversione, dalla violenza. Come Welles le sue riflessioni erano rivolte all’essere umano e alla sua negatività, entrambi immergevano le mani in un oceano di idee e complesse tematiche a volte divergenti.
Kubrick, nonostante avesse la sua personale “poetica”, riusciva ad analizzare i film muovendo l’obiettivo, utilizzando diverse angolazioni.
E’ difficile dunque trovare dei veri e propri fili conduttori tra i due directors, in fin dei conti così uguali e così diversi allo stesso tempo; ciò però che li accomunava, senza dubbio, è l’abilità tecnica: “Dial M for Master” come direbbe Alfred Hitchcock, giusto per citare un regista a caso. Impossibile dimenticare le carrellate da brivido nell’hotel di “Shining” (Kubrick), come la fotografia a luce naturale (con obiettivo Zeiss) di “Barry Lyndon” (Kubrick) , la profondità di campo in “Quarto Potere” (Welles) o lo spettacolare piano sequenza della scena iniziale de “L’infernale Quinlan” ( Welles).Fear-and-Desire
Le critiche rivolte, tuttavia, non sono ben congeniate perché anche se fosse vera l’accusa è pur sempre meglio prender spunto dal maestro che dall’allievo.
Oggi purtroppo ci si dimentica del passato, di questi grandi nomi, di questi “Dinosauri del ciak”, ci si dimentica con troppa presunzione del buon cinema.
Ritornando al confronto, un legame visibilissimo lo si può notare proprio in questo film inedito, Paura e Desiderio, primo lungometraggio per Kubrick. Welles, infatti, affrontò più volte le opere shakespeariane (in “Machbeth”, “Otello” e “Falstaff”) e in Paura e Desiderio si respira questo stesso amore per il drammaturgo e poeta inglese. Opera di riferimento “La Tempesta”, dove riprende la figura del mago e della pazzia e innesta sui personaggi con sapienza ed efficacia il dramma seicentesco.
Kubrick a soli 24 anni, dopo aver girato vari corti, aveva un sogno, eguagliare Wells esordendo con il primo film, così come quest’ultimo fece con Quarto Potere; purtroppo Paura e Desiderio, nonostante sia un film filosoficamente profondo, non fece lo stesso “botto” di Welles. Proprio per questo, il regista, un perfezionista maniacale, decise quasi di cestinarlo e di annullare la sua distribuzione, solo più tardi lo definì “un tentativo serio realizzato in modo maldestro”. Visibili le limitazioni strumentali e per chi è abituato ai classici movimenti di macchina artistici, ad inquadrature ben studiate, alle sue scelte geniali, non li ritroverà in egual misura.
Il fatto di non aver specificato né il periodo storico, né la guerra è un limpido messaggio, come per dire “le guerre son tutte uguali”; a rafforzare tale pensiero è la scelta di aver fatto recitare gli stessi attori per le due fazioni militaresche (tale duplicità recitativa fa balenare in mente l’interpretazione di Peter Sellers nel “Dottor Stranamore”).achatsoldes-2013-stanley-kubrick-collection-l-L-LpqRM6
La paura e il desiderio, sentimenti forti che i personaggi provano più volte e in modi diversi, la paura di essere attaccati dal nemico, di morire, il desiderio della vittoria anche a costo della propria vita, qui il contrasto e la critica al patriottismo.
Il tema della guerra verrà più volte ripreso dal regista, precisamente nei capolavori “Orizzonti di Gloria” e “Full Metal Jacket”. Le tematiche che svilupperà in futuro, tuttavia, si percepiscono già in Paura e Desiderio.
In verità si vede molto di più nel film, infatti è come ripercorre tutta la filmografia kubrickiana in poco più di sessanta minuti. La violenza, la perversione, il sesso, anche se pur abbozzati, fanno venire in mente “Arancia Meccanica”.
La violenza come unica via di salvezza, unica scelta, anche forzatamente per chi non l’accettasse; ciò è esplicito nel dialogo tra il soldato Fletcher e il tenente Corby: “Non mi sento portato per questo”. “Nemmeno io, è solamente qualcosa che facciamo per non morire subito”. Uno schiaffo in faccia al patriottismo, identificando la violenza anche come unico strumento per il raggiungimento di un’insana e ripugnante gloria patriottica.
Anche la pazzia è un tema presente e molto ricorrente per Kubrick, come in Full Metal Jacket; determinate condizioni possono innescare nella mente una scintilla letale, condizioni che solo la guerra può fornire. Come “Palla di Lardo” anche Sydney è destinato a perdere il senno della ragione; inoltre il più giovane soldato del gruppo, ennesima scelta studiata per sottolineare la vulnerabilità e l’instabilità delle giovani menti. La condizione umana, per il regista, è un labirinto senza uscite: ovunque ci dirigiamo, finiamo per trovarci in un vicolo cieco. Come disse lo stesso Kubrick “Forse nel nostro inconscio siamo tutti dei potenziali Alex (protagonista di Arancia Meccanica)”.
Il dramma e la morte, come nell’impietoso e amaro “Orizzonti di Gloria” sono in questa pellicola altri contenuti principe.kub1
L’isolamento e la claustrofobia, come in Shining, vengono anch’essi avvertiti; il gruppo di militari è isolato dal mondo, disperso nel bosco e l’uomo, vivendo in quest’ambiente quasi surreale, dovrà vedersela con il proprio io, l’uomo effigiato come un congegno ad orologeria pronto a fare “Boom!”.
Le personali tematiche dunque ci sono un po’ tutte, forse acerbe ma onnipresenti.
Captabile il ribaltamento del sistema narrativo che il genere impone, ancora una volta è noncurante dei canoni e delle regole hollywoodiane, gli eroi dipinti come antieroi.
“Paura e desiderio” è metaforicamente un tortuoso percorso di meditazione dentro l’animo dei personaggi; tale percorso farà riaffiorare quei sentimenti nascosti sotto il fondale dell’inconscio umano, facendoli svolazzare liberi e incontrollati da freni inibitori: l’uomo denudato da moralismi.
Un cupo pessimismo antropologico aleggia durante la visione del film, un marchio di fabbrica per il regista inglese, tale pessimismo tramutato in fotogrammi freddi e stilisticamente perfetti.
Paura e Desiderio risulta dunque un altro salutare “pugno nello stomaco” , un raro esempio di genialità.
Nonostante un ritmo non del tutto fluente e considerando il budget ridotto fino all’osso non si può parlare di un Kubrick minore, risulta un disegno ammirevole e complesso, il maestro si fa sentire o meglio vedere.
Il film completa il quadro kubrickiano, completa la sua filmografia destinata a rimanere “sempre verde” nella storia del cinema. Nei suoi film, come dei rompicapo, dei veri e propri “Cubi di Kubrick” (come ci insegna “2001:Odissea nello spazio”), non tutto è comprensibile immediatamente e possono avere molteplici e infinite interpretazioni. Risultano infine come dei dipinti surrealisti daliliani, il significato è celato, non visibile ad occhio nudo, ma presente ed intenso.

di Michele De Lorenzo

 

Marco Marangio

giornalista pubblicista, dottore in Lettere Moderne, amministratore del blog Prima Pagina, autore di "Percorsi" (Albatros Il Filo, 2010) e di "Matteo Renzi - La parola sono io (Effigi editore, 2018)

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