Pier Paolo Pasolini: i corsari silenzi dei suoi 93 anni

«Io penso che scandalizzare sia un diritto, essere scandalizzati un piacere e chi rifiuta il piacere di essere scandalizzato è un moralista, il cosiddetto moralista.» Avrebbe compiuto 93 anni quest’oggi l’unico artista, scrittore, regista italiano degno di nota della nostra contemporaneità. L’Italia di oggi, sempre più ammorbata dalla crisi, non solo economica ma in special modo culturale, avrebbe avuto bisogno di intellettuali veraci, colti, acuti, innovatori come Pier Paolo Pasolini. Il triste archetipo che spesso riemerge nella mente di chi ama e legge ancora uno degli ultimi poeti e letterati del ‘900 è: “cosa direbbe oggi Pasolini dell’Italia, dell’ Europa, del mondo? Cosa direbbe del cinema italiano e della letteratura nostrana, sempre più afflitta da quella subcultura che ne ha annientato l’esistenza stessa?”
In special modo, ci si chiede, come avrebbe Pasolini contribuito a colmare quel vuoto assordante che oggi ci opprime.
Il più grande rammarico è sapere che qualsiasi tipo di riposta noi diamo a queste particolari domande, altro non sono che pensieri e che, vista l’assenza del più grande poeta del novecento quale era Pier Paolo Pasolini, non potranno trasformarsi in azioni né in concrete certezze. La sua assenza nella nostra contemporaneità è drammaticamente voluta dallo stesso sistema italiano che nostro malgrado regge la formazione culturale delle giovani menti: quasi completamente assenti dai libri di testo, nessun ufficiale memoriale che ne ricordi l’operato sublime, pochissimi e coraggiosi osservatori che ne preservino l’eredità culturale, Pier Paolo Pasolini è nel 2015 uno dei martiri più eterei della storia politico – culturale della nostra bislacca Italia. Ciò lo si evince, sopratutto, dalla plateale volontà di voler cancellare del tutto la figura dell’intellettuale puro. I già discutibili talk show , infatti, pullulano di sedicenti pensatori e nel peggiore dei casi, di giornalista prezzolati ed esponenti di codesta o di quell’altra fazione politica. Ciò di cui l’Italia avrebbe realmente bisogno è di una figura intellettualmente pura, la cui unica necessità sia quella di esprimere il vero ed incondizionato pensiero, di “scandalizzare” le menti di falsi e sinistroidi perbenisti che compongono la nostra attuale società.
L’assenza pasoliniana, se da un lato è artificialmente voluta dai sistemi reggenti, dall’altro è pur vero che ben pochi potrebbero, ad oggi, colmare il vuoto lasciato da quel drammatico 2 novembre del 1975. Rileggendo la poetica, l’innovazione prosaica e tematica del purtroppo mai compiuto “Petrolio”, oggi forse soltanto due nomi sarebbero in grado parzialmente di ereditarne le cifre stilistiche: Daniele Luttazzi (si pensi a “Lolito” e a “Bloom: porno-teo-kolossal”) ed Aldo Busi. Probabilmente sono due tra i più innovativi letterati di questi ultimi anni e proprio a questo proposito volutamente non considerati dalla critica nazionale. Ciononostante, quel che rimane di Pier Paolo Pasolini, non è affatto poco. Le sue opere, le sue parole, i suoi film colmano maggiormente e come mai prima d’ora la sua stessa assenza. Che sia “Le ceneri di Gramsci” o “Petrolio” il testo nella nostra libreria, “a Pa’” ci parla ancora. Basta saper ascoltare.

“La mia indipendenza, che è la mia forza, implica la solitudine, che è la mia debolezza.”

Marco Marangio

giornalista pubblicista, dottore in Lettere Moderne, amministratore del blog Prima Pagina, autore di "Percorsi" (Albatros Il Filo, 2010) e di "Matteo Renzi - La parola sono io (Effigi editore, 2018)

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