Campagna elettorale: errori ed orrori da non dimenticare

campagna elettorale, elezioni 2018, partito democratico, matteo renzi, liberi e uguali, pietro grasso, centro destra, silvio berlusconi, matteo salvini, giorgia meloni, movimento 5 stelle, luigi di maio, m5sSiamo chiari: questa campagna elettorale è probabilmente una delle peggiori degli ultimi anni. Partita con eccessivo ritardo, reduce da Gentiloni (ombra del Governo Renzi), ad oggi siamo ancora alle prese con le lacerazioni divisive delle nomine partitiche del Partito Democratico. Se è vero che la Storia è maestra, è altrettanto veritiero il monito montanelliano: gli italiani non imparano nulla da essa. Per questo è giusto ricordare, a grandi linee, gli aspetti negativi dei maggiori partiti in corsa per le elezioni.
Partiamo dal Partito Democratico, afflitto dal malus del referendum costituzionale. Renzi, sceso dal contestato treno del PD, candida Casini a Bologna e la Boschi a Bolzano. Con il primo ha finalmente dichiarato la propria appartenenza politica in modo esplicito: una Democrazia Cristiana di andreottiana memoria. Con il secondo ha confermato l’oligarchico privilegio del cosiddetto «giglio magico» nonché la mancanza di coerenza e coraggio nell’evitare di esporre pubblicamente la Boschi in quel di Arezzo, città che non dimentica il caso drammatico di Banca Etruria.
L’incipit della campagna elettorale di «Liberi e uguali» non è stato dei migliori. Un po’ per il proverbiale «groppo in gola» (ripetuto talmente tante volte da Pietro Grasso quasi fosse un punto del programma elettorale), un po’ per la ventata di demagogia spicciola nel promettere l’abolizione delle tasse universitarie. Oltretutto, non è da dimenticare che lo stesso Grasso è contornato da Bersani e D’Alema, uomini dal passato politico non proprio «energico» né volitivo. Soprattutto D’Alema, il quale ancora deve rispondere al monito morettiano «dì qualcosa di sinistra».
La coalizione di centro destra non ha bisogno di presentazioni, tanti sono evidenti i paradossi che accomunano Berlusconi, Salvini e la Meloni. Tralasciando i due nani, è bene ancora una volta soffermarsi sul nano più grosso: Berlusconi. Di quest’ultimo c’è poco da aggiungere, se non l’aspetto politico più recente ovvero la sua incandidabilità a causa della legge Severino. Non è candidabile, eppure partecipa ad ogni possibile talk show figurando quale potenziale premier del centro destra. Purtroppo, l’alimentazione politica del cavaliere è legata ai seguaci rimasti al suo fianco, rappresentanti giusto quegli italiani (pochi per fortuna) che non hanno smesso di «credere» in lui. Nonostante tutto.
Di tutte le compagini politiche presenti, il M5S è l’unico partito a non aver smesso di fare campagna elettorale e l’unico di vantare ancora il beneficio del dubbio. Nel bene e nel male. Uno dei mali è stato il metodo delle primarie fake, senza tralasciare la modalità tanto contestata (dagli stessi attivisti) delle famose parlamentarie. A questo v’è da aggiungere la decisione di Alessandro di Battista di non ricandidarsi, unita alla quasi messa in panchina di Grillo per mano di Grillo stesso. Il tutto ha sicuramente attivato movimenti tellurici interni. Se ciò sia un bene od un male, lo si scoprirà dal 5 marzo in poi.
Al netto delle considerazioni fatte sin qui, appare chiaro che benché la campagna elettorale sia iniziata nel peggior dei modi possibili è altrettanto importante ricordare quanto questa chiamata alle urne sarà probabilmente la più importante e decisiva degli ultimi anni. La sconfitta maggiore sarà, difatti, non tanto un ritorno delle destre al potere, quanto piuttosto un elevato astensionismo. Un vizio che l’Italia non può più concedersi. Renzusconismo a parte.

Marco Marangio

giornalista pubblicista, dottore in Lettere Moderne, amministratore del blog Prima Pagina, autore di "Percorsi" (Albatros Il Filo, 2010) e di "Matteo Renzi - La parola sono io (Effigi editore, 2018)

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